Tanti sono i “riti” che si celebrano, in Costiera Amalfitana, il giorno del giovedì santo, primo del Triduo Pasquale che è particolarmente sentito nella Divina, come testimonia la processione prevista in programma per questo pomeriggio ad Atrani.

Anche nel capoluogo, però, non mancano tradizioni tipiche di questa giornata in cui si ricorda, secondo il racconto evangelico, l’Ultima Cena di Gesù, vigilia della sua Passione e morte, ricordate nel venerdì Santo.

Una tradizione tutta salernitana è quella del “viccillo”, quasi completamente sconosciuto al di fuori della città capoluogo.

A Salerno, infatti, a differenza che a Napoli e nei dintorni, dove il giovedì santo si consumano pomposi “pignatielli” di zuppe di cozze, la vera protagonista della merenda pomeridiana e dello “struscio” che segue la visita ai Sepolcri è proprio questa caratteristica brioche salata, arricchita da un uovo “stretto” in una croce di pasta.

Il “viccillo” evoca, più o meno vagamente, nel suo gusto che fonde con equilibrio dolce e salato, tanto il casatiello napoletano di cui conserva l’opulenza e la presenza dell’uovo, quanto, per le sue fattezze, il cugliaccio lucano e la cullùra calabrese, a testimonianza di come la gastronomia salernitana sia frutto di una contaminazione tra culture di varie aree.

Si produce il viccillo sia in una versione grande che in una monoporzione, che in passato era spesso acquistata per i bambini e fatta benedire in chiesa.

A produrre il viccillo, ancora oggi, sono (alcune) delle tradizionali pasticcerie salernitane. Tra queste ci sono, senz’altro, Pantaleone, storica dimora della pasticceria salernitana di via Mercanti, attiva dal 1868 e nota per molte altre produzioni, e Bassano.

Famosa per produrre la millefoglie probabilmente più celebre in assoluto a Salerno, questa storica attività non disdegna la produzione di vere e proprie chicche per intenditori, come lo è proprio il “viccillo”.

Nel giorno precedente al giovedì santo si lavorano gli ingredienti secchi (farina, sale, zucchero, burro, uova, lievito): si lascia, poi, crescere l’impasto nella notte successiva, prima, poi, di infornarlo e servirlo, per la gioia dei tanti salernitani dai capelli bianchi che, addentandolo, ritornano bambini.