Maiori. I Birboni, antico formato di pasta della tradizione minorese, tornano a nuova vita e divengono protagonisti di una giornata in loro onore: “il Birbone day”, che si celebrerà il 16 Maggio.
A idearla, il ristoratore di Maiori Carlo De Filippo, fondatore e gestore del Pineta 1903, che sin dalla sua nascita si pone l’obiettivo di custodire e dare nuova linfa alle tradizioni gastronomiche identitarie della Costiera Amalfitana.
I birboni: la storia
I Birboni, noti anche come e’ currente, per la loro forma irregolare, hanno radici antichissime, comuni a quelle della tradizione pastaia minorese, antesignana di quella – divenuta ben più nota nel mondo – di Gragnano. Erano prodotti con gli scarti delle farine impiegate per produrre i formati più pregiati, destinati alla vendita.
Alla fine dell’800 ne fu vietata la produzione dalle autorità del tempo. Ciò in quanto i frammenti da cui si ricavavano i birboni, infatti, in qualche caso erano perfino spezzati e raccolti dal pavimento, a fine giornata.
Ma, fatta la legge, trovato l’inganno. Spesso, viste le ristrettezze economiche che caratterizzavano gli anni compresi tra le due grandi guerre mondiali, questa pasta era, però, anche venduta sottobanco. Con non poco successo.
Gli amalfitani cominciarono, infatti, a commercializzarla, sotto la dicitura di “alimento per animali” anche fuori dalla Costiera e dalla Campania, tanto da ispirare perfino la nascita della Struncatura diffusa in Calabria.
Diverse le versioni di una varietà di pasta, che oggi rivive grazie alla maestria dello chef, ovviamente minorese, Gianluca Giordano.
A produrre i birboni c’è oggi il pastificio artigianale Mariantonia, sito proprio all’interno del “Pineta”.
La semola e la farina di grano duro integrale italiano ne sono gli ingredienti principe: c’è, poi, il grano saraceno a darvi la consistenza grezza e dal gusto arcaico, a conferire loro la caratteristica callosità che avevano un tempo.
Una preparazione, quella scelta per la nuova vita della “pasta proibita”, ispirata ai racconti di chi, molti anni fa, ha potuto avere il privilegio di sperimentarla. E, in particolare, di Sigismondo Nastri, giornalista autore di pubblicazioni sulla gastronomia identitaria locale.
Un vero e proprio gioiello di autenticità da riproporre con un sugo a base di pomodorino corbarino, capperi e olive (meglio se caiazzane, presidio Slow Food) e con l’aggiunta di colatura di alici di Cetara e,last but not least, del biscotto di grano agerolese sbriciolato.
Un’idea tradizionale cui senz’altro se ne potranno affiancare tante altre, frutto della creatività di chi proverà ad interpretare questa meraviglia enogastronomica della Costiera per lungo tempo dimenticata, e che oggi gode di nuova luce.