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Spaghetti al cartoccio: la storia di un piatto “cult” nato ad Amalfi nei mitici anni ’60

Spaghetti al Cartoccio

Correva il 1962 quando Salvatore Cavaliere, fratello di “Ciccio” dell’omonima storica trattoria di via Augustariccio, a Vettica Minore, lavorava come stagista cuoco al Santa Caterina. Erano gli anni della Dolce Vita, quelli in cui Amalfi, ormai superato ampiamente il dopoguerra, si affacciava in modo sempre più netto sulla scena del turismo, con una continua e costante crescita delle presenze dall’estero.

La cucina era legata ancora a canoni estremamente tradizionali: pochi gli indirizzi menzionati dalla Guida Michelin, nessun ristorante ancora a potersi fregiare della Stella (la prima nel Sud Italia arrivò, però, alla Caravella).

Erano anni in cui in cucina dominava ancora un’estrema semplicità delle preparazioni: tuttavia, si iniziava ad avvertire la necessità di sperimentare ed innovare, in modo, ovviamente, decisamente meno marcato rispetto a quanto accaduto successivamente. Si attingeva ancora a preparazioni, tutto sommato, tradizionali, ed a metodi di cottura non troppo invasivi. Ancor più lontani si era dall’epoca del crudo.

E così il giovane stagista cuoco amalfitano, si recò a Genova per sei mesi dove rimase affascinato dalla cottura al cartoccio, che in Liguria era impiegata principalmente per le triglie. Di lì, l’intuizione: perchè non mutuare e riprodurre questo metodo anche per piatti iconici della cucina campana? Meglio ancora se nell’osteria di famiglia che già allora poteva vantare una lunga esperienza nella ristorazione di qualità?

Nacquero così gli “spaghetti al cartoccio”, un piatto “cult” della cucina degli anni del “boom”: fu, per lunghi anni, spesso e troppo maldestramente imitata questa creazione amalfitana divenuta tanto diffusa nei ristoranti di cucina marinara in Costiera, in Campania ma anche ben oltre i confini regionali, prima che la sua notorietà andasse incontro al fisiologico declino dovuto ai tempi, complice, anche, il notevole cambiamento delle tendenze gastronomiche.

Pochi e semplici gli ingredienti, altrettanto intuitiva la ricetta: già a prima vista sembra quasi di respirare gli aromi sospesi tra cielo, mare e terra che questo lembo di Amalfi sa donare più di tanti altri luoghi. I pomodorini del piennolo, le vongole veraci, i capperi e le olive, verdi e nere a dare sapidità al piatto. E, poi, gli spaghettini, tirati decisamente al dente, la cui cottura veniva completata in carta forno, che li avvolgeva lasciandoli letteralmente rapire da un sugo che sa dare al palato un’efficace fotografia dell’anima della Costiera più autentica.

Fu da subito un successo, e non solo per i sapori del piatto: anche l’occhio vuole la sua parte. Forse, all’epoca, la esigeva ancor più, nel solco di quel richiamo all’abbondanza, alla magnanimità, all’opulenza (ancora vivo era il ricordo della guerra e delle ristrettezze): ed ecco che la carta pergamena, prima dell’ingresso nella sala della trattoria di Vettica, veniva cosparsa di un velo di brandy, e.. “data alle fiamme”. I caratteristici “cartocci” entravano, così, in sala in versione flambè.

Oggi, i tempi e le nuove normative non lo consentono più: permane, però – nella trattoria portata avanti dai figli di Ciccio Marco (che ne è lo chef), Giuseppe (il sommelier), Antonio (il maitre) e Stefano (alle pubbliche relazioni), il sapore autentico di un piatto amalfitano doc che, nonostante più di sessant’anni di storia resta..dal cuore sempre giovane.

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