La conservazione dei documenti fiscali rappresenta un aspetto cruciale per i contribuenti italiani, spesso fonte di dubbi e incertezze.

Alla luce delle attuali normative vigenti, è indispensabile chiarire i tempi e le modalità con cui devono essere custoditi fatture, dichiarazioni dei redditi e altri documenti rilevanti per il Fisco, per evitare sanzioni pesanti da parte dell’Agenzia delle Entrate.

In Italia, il contribuente è tenuto a conservare una serie di documenti fiscali non solo per una questione di ordine amministrativo, ma soprattutto perché questi documenti costituiscono la prova della correttezza delle dichiarazioni in caso di controlli o accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate. La normativa prevede che l’assenza di tali documenti possa comportare l’applicazione di sanzioni tributarie significative.

Se non conservi questi documenti per dieci anni, l’Agenzia delle Entrate ti multa: è un salasso

Contrariamente a quanto comunemente si pensa, non è sufficiente conservare i documenti per soli cinque anni. Tale periodo, infatti, rappresenta solo il termine entro cui l’Amministrazione finanziaria può notificare un avviso di accertamento, come stabilito dall’articolo 43 delle disposizioni di attuazione delle imposte sui redditi e dall’articolo 57 del D.P.R. 633/1972 per l’IVA. Ad esempio, per una dichiarazione presentata nel 2022 relativa al 2021, il contribuente dovrebbe teoricamente poter buttare via i documenti a fine 2027.

Tuttavia, il quadro normativo è più complesso a causa di un disallineamento tra le norme fiscali e quelle del Codice Civile. L’articolo 2220 del Codice Civile obbliga, infatti, imprese, professionisti e chiunque tenga scritture contabili, a conservare fatture, registri e altri documenti per almeno dieci anni dalla data dell’ultima registrazione. Questo implica che, anche se il Fisco non può aprire nuovi accertamenti dopo cinque anni, può comunque richiedere l’esibizione di documenti risalenti fino a dieci anni, qualora il controllo sia stato avviato entro il termine quinquennale.

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Il principio è confermato dall’articolo 22 del D.P.R. 600/1973, che stabilisce l’obbligo di conservare documenti fino alla conclusione del procedimento di verifica. Pur essendo la norma più stringente rivolta principalmente a imprese e professionisti con partita IVA, è consigliabile estendere questa prassi anche ai contribuenti privati, per evitare rischi in fase di controllo fiscale.

In termini pratici, ciò significa che un contribuente che ha effettuato operazioni nel 2015 dovrebbe mantenere la documentazione fiscale almeno fino al 2025, per potersi tutelare in caso di accertamenti o contenziosi. Non rispettare l’obbligo di conservazione decennale espone il contribuente a rischi concreti. In assenza di documenti probatori, infatti, vige il principio di presunzione di legittimità degli accertamenti fiscali: le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate si presumono corrette e sarà a carico del contribuente dimostrare il contrario.

Questo può tradursi in multe salate e in una gestione più difficoltosa del contenzioso tributario. In pratica, senza la documentazione adeguata, il contribuente perde la possibilità di difendersi efficacemente, con ripercussioni economiche potenzialmente rilevanti.

Per garantire un equilibrio tra tutela del contribuente e necessità del Fisco, l’articolo 8 dello statuto del contribuente stabilisce un limite massimo: nessun obbligo di conservazione può essere imposto per un periodo superiore a dieci anni. Trascorso questo arco temporale, l’Agenzia delle Entrate non può più richiedere la visione dei documenti né avanzare pretese su di essi. Tale norma è fondamentale per evitare che l’onere di conservazione diventi indefinito e insostenibile, offrendo così un termine chiaro alla durata dell’impegno richiesto ai contribuenti.

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