Territorio

Alluvione 1954. “Mio padre fu tra i primi a raggiungere Maiori da Salerno” / La testimonianza

Sessantanove anni fa la zona compresa tra Salerno e Maiori si svegliava dilaniata dalla forza delle acque: dopo una notte di pioggia incessante l’acqua dei torrenti tracimati aveva invaso i centri costieri.

Felice Bottiglieri, ingegnere, all’epoca dei fatti diciottenne, è figlio dell’allora presidente della Provincia di Salerno Girolamo Bottiglieri, che fu tra i primi a giungere da Salerno a Maiori, tra le realtà più colpite dalla furia delle acque: sulle colonne del quotidiano online L’Ora il suo racconto del tragico evento.

L’anno prossimo saranno settant’anni dall’alluvione del 1954: una vicenda che segnò la città di Salerno ed il territorio della Costiera Amalfitana. Un evento di dissesto idrogeologico mai più eguagliato. All’epoca dei fatti aveva diciotto anni, suo padre (Girolamo Bottiglieri, ndr) era presidente della Provincia: quali i ricordi che le sono rimasti maggiormente impressi?

La pioggia a partire dal primo pomeriggio del 25 cadde per più di dieci ore: per questo motivo, appunto, vi fu lo scivolamento di enormi masse di terreno. Per dare un’idea delle quantità di acqua che tracimò dal Torrente Fusandola al centro della città, ho un’immagine che mi è rimasta particolarmente impressa: quella del fango e dei detriti che arrivarono fino all’altezza del primo piano dell’edificio sito di fronte l’ex Caserma dell’Esercito, al termine di via Fusandola. Il fango arrivò anche all’interno della Chiesa, fino a lambire l’altare che pure è sito in una posizione sopraelevata rispetto ai restanti spazi del luogo di culto, in quanto ha un basamento sottostante. L’orologio del campanile si fermò all’1.50, in quanto l’acqua, dopo la colata di fango, raggiunse gli ingranaggi che lo regolavano. Da quell’impluvio transitarono, purtroppo, dei cadaveri. Alcuni arrivarono in mare: ci fu il crollo di un’intera palazzina che sporgeva sull’incisione torrentizia“.

Nel “day after” della tragedia, come apparve Salerno?

Abitavo, insieme alla mia famiglia, a Palazzo Centola. La mattina presto, intorno alle 8, alzandomi, vidi un gruppo di nostri amici che risalivano via Andrea Sabatini, in pigiama. Erano scappate dal Rione Olivieri, verso il centro, e risalivano verso casa. Da quella visione mi resi conto della gravità della situazione. Una scena drammatica che ricordo bene fu di quando l’allora neoparroco dell’Annunziata don Carmine De Girolamo allineò le salme che riuscì a raccogliere sul marciapiede antistante l’ingresso della Villa Comunale. Il suo attivismo in quei momenti tragici fu premiato con un riconoscimento ufficiale. Mio padre, Girolamo Bottiglieri, era presidente della Provincia: capì subito la dimensione del disastro e si ree conto della necessità di dover operare attraverso la sua istituzione. Dopo qualche ora si imbarcò su una motovedetta, credo della Capitaneria di Porto, e fu tra i primi a raggiungere Maiori, gravemente colpita dalla furia delle acque, dal capoluogo. Maiori fu il centro che registrò il maggior numero di vittime, come numerose ce ne furono anche a Molina di Vietri. La grande spiaggia vietrese fu il risultato dell’alluvione del 1954. A Maiori, invece, la massa di fango si distribuì in modo più longilineo, lungo tutto il litorale“.

Di lì a poco avrebbe intrapreso gli studi di Ingegneria: dove ricorda i maggiori danni materiali?

Sicuramente, come anticipato, nella zona a valle del Torrente Fusandola. Ma anche il Rafastia esondò: nella zona dell’ex Hotel Diana vi fu una colata d’ acqua e fango. Altra zona profondamente colpita fu quella dell’Olivieri, dove la Strada Statale 18 franò completamente, tanto che l’esercito intervenne posizionando un ponte Bailey provvisorio, militare, in acciaio, per poter consentire il transito dei veicoli in condizioni di fortuna“.

La restante parte del centro storico, per fortuna, fu in gran parte preservata.

“Nel centro storico, in effetti, dei danni dell’alluvione se ne risentì di meno, a differenza di quanto avvenne con il terremoto del 1962, che procurò dei crolli parziali in modo diffuso”.

Dopo l’alluvione la situazione del Torrente Fusandola è rimasta identica?

“Successivi interventi realizzarono la sistemazione delle acque torrentizie provenienti da Canalone con l’allargamento dello sbocco del torrente a via Fusandola”.

Com’è cambiato il rischio esondazione da allora?.

Per fortuna sul Fusandola, negli anni successivi all’alluvione, si è agito bene. Via Quagliariello non esisteva: si è creato, in tal modo, un condotto idrico sottostante a questa stradina che costeggia il campanile dell’Annunziata, avente una sezione idraulica di oltre dieci metri. Il fiume, invece, prima dell’alluvione, scorreva come in una sorta di cunicolo, siccome un edificio era sostanzialmente addossato alla Chiesa. Dunque, il fiume scorreva in un cunicolo molto piccolo che sottopassava la Villa Comunale e l’edificio scolastico “Barra” al punto che all’interno dello stesso si verificavano fenomeni, di umidità, intollerabili per l’igiene dell’edificio e soprattutto degli edifici annessi come la mensa e la palestra, successivamente demoliti per consentire la realizzazione di via Sandro Pertini“.

Il rischio idrogeologico, specie nella nostra città ed in Costiera Amalfitana, è ancora elevato: lo testimoniano dati scientificamente comprovati, oltre che eventi, seppur di minor entità, verificatisi in periodi successivi. Si pensi, ad esempio, all’alluvione di Atrani del 2010. Il clima, specie negli ultimi anni, è profondamente cambiato, e si sono moltiplicati i fenomeni estremi. Vicende come quella del 1954 possono ripetersi?

“Se si ha cura della vegetazione, si evita il disboscamento e si ha cura della natura le conseguenze dei fenomeni estremi si possono senz’altro mitigare. Ritengo, in ogni caso, di poterlo escludere, quantomeno a quei livelli d’intensità. Il tipo di fenomeno sarebbe, in ogni caso, molto diverso, perchè le zone a monte sono state edificate: dove c’era terreno vegetale oggi ci sono superfici edificate”.

Quale potrebbe essere la conseguenza di ciò?

“Meno colate di fango, tranne che in Costiera, dove, comunque, l’edificazione a monte è, per quanto presente, minore rispetto a Salerno, e una maggior portata d’acqua, liddove le superfici sono spesso cementate, bitumate”.

Andrea Bignardi

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