Lungimirante e intuitivo, simpatico e pieno di risorse. Il quadro tracciato è quello di Mino Raiola, al secolo Carmine. Il super-agente sportivo dall’affare lungimirante. Aveva sempre un asso nella manica. Pescava sempre il coniglio dal cilindro. Il mondo del calcio ha dato oggi l’addio a una leggenda. Uno che, affermano i familiari, non si è mai accorto di quanto fosse voluto bene. E che, nel bene o nel male, ha fatto la storia del tanto bistrattato calcio 2.0.

La Costiera Amalfitana era il suo angolo di paradiso. Il suo rifugio dagli affanni europei. Tra milioni, accordi, salotti, telefoni, poi, la pace dei sensi a due passi dal mare. Il padre Mario, originario di Minori, lo riabbracciava sempre al suo “ritorno in patria”. Ma, in realtà, l’intera Costiera si vestita a festa.

Tra passeggiate in riva al mare e tour gastronomici Mino non disdegnava selfie con curiosi e appassionati di calcio. “Sono dispiaciutissimo. Mino era una persona piena di spirito. Il padre, Mario, ha un cuore grande – sono le parole del vicesindaco di Tramonti, Vincenzo Savino -. Professionista nel suo campo, lungimirante, dotato di una grande capacità intuitiva. A Mino bastavano pochi elementi per capire se un giovane calciatore in erba sarebbe diventato un talento. Carattere riservato, di poche parole, ma sempre disponibile. Il ricordo più bello ai 18 anni di Gianluigi Donnarumma a Milano. Quando veniva in Costiera aspettavo con piacere il suo messaggio”.