Un fallimento annunciato. Non bastano però solo i numeri a spiegare i tanti quesiti che da oggi affolleranno le menti della nostra politica. Il referendum del 12 giugno consegna, al di là degli esiti – preventivabili – un Paese probabilmente mai così distante dalla propria classe dirigente.

Quelli di ieri saltano all’occhio come i quesiti che hanno raccolto meno elettori alle urne. Difatti, su base nazionale, solo il 18% degli aventi diritto si è recato presso la propria sezione per dare il proprio consenso/diniego. I temi? Estremamente spinosi e complessi.

Gli italiani, in particolare, sono stati chiamati a decidere sui cinque referendum abrogativi in materia di giustizia.

Nel dettaglio, le schede:

  • Rosso per l’abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi.
  • Arancione per il referendum sulle limitazione delle misure cautelari.
  • Giallo per la separazione delle funzioni dei magistrati.
  • Grigio per la partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari.
  • Verde, infine, per l’abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura.

Ma se non aver raggiunto il quorum non è una sorpresa – dal 1997 a oggi soltanto una volta si è toccato il fatidico 50%+1, in merito alla gestione pubblica dell’acqua – sono, come detto, i numeri a lasciare perplessi. Partendo dal referendum del 2011 cerchiamo di capire il perché di una vera e propria disaffezione del cittadino ai quesiti referendari.

Undici anni fa venne chiesta ai cittadini l’abrogazione parziale della norma che stabilisce la determinazione della tariffa per l’erogazione dell’acqua. In particolare, nel testo in cui prevede che tale importo includa anche la remunerazione del capitale investito dal gestore. E il 95% dei cittadini recati ai seggi decise di abrogare la norma. Ebbene, a distanza di ormai dieci anni, attraverso il ddl concorrenza – voluto dal governo Draghi – la gestione dell’acqua pubblica torna alla situazione pre-referendum.

C’è, inoltre, da tenere in conto la durata delle consultazioni. Non sappiamo se una giornata aggiuntiva avrebbe offerto numeri validi ai fini del quorum. Ma certamente avrebbe dato più tempo agli indecisi o agli impossibilitati di potersi recare ai seggi.

Passiamo poi ai temi, interrogativo probabilmente più intricato di tutte. Se della Severino si discusse già in occasione della sospensione del governatore della Campania De Luca, degli altri 4 temi diventa difficile trovare riferimenti – almeno giornalistici – altrettanto conosciuti.

Come nel caso del raggiungimento delle firme per la candidabilità al Csm da parte di un magistrato. Oppure delle cosiddette porte girevoli tra giudici e pubblici ministeri. Passando, infine, per la partecipazione di avvocati e docenti universitari alle deliberazioni del consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e le limitazioni delle misure cautelari. Insomma, tutti temi delicati di cui certamente è necessario più di una sommaria lettura di scheda.

Punti che spiegano il fallimento di una classe dirigente che in questi anni non è riuscita a ricucire lo strappo e la sfiducia degli elettori nei confronti della politica. E che, a meno che non si discuta di temi davvero prossimi ai cittadini – e non è il caso delle toghe – rappresentano l’ennesimo scoramento per una politica che ha fallito un ulteriore esame per essere vero collante tra agorà e istituzioni.

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