Era il 1965 quando Giuseppe Guida dava vita alla “Taverna del Leone”: il locale, a due passi da Positano, a monte dell’insenatura di Laurito, nacque come una semplice pizzeria che, come in tanti casi simili in Costiera Amalfitana, prese vita sulla scorta di un caseificio, per impiegarne i suoi prodotti, valorizzandoli.
Qualche anno dopo, nei primi anni ’70, complice anche il boom turistico della città verticale, che proprio in quegli anni divenne la città della moda e la location del jet-set internazionale per eccellenza, la Taverna divenne anche un piccolo e grazioso albergo.
Dopo quasi sessant’anni dall’inaugurazione, il locale è giunto alla sua terza generazione: a gestirlo, infatti, c’è Giuseppe Guida, il nipote del fondatore della Taverna. 38 anni, vanta un curriculum di tutto rispetto nel settore dell’ospitalità, sviluppato in parallelo ad un percorso di formazione in Lingue: prima al Four Seasons a Milano, poi al Mandarin Oriental a Singapore e, ancora, al Chedi ad Andrermatt, in Svizzera.
Giuseppe prosegue l’attività del papà Antonio e della mamma Fortunata Cilento che gli danno man forte, e, insieme alla zia, Filomena che cura la pasticceria interna ed ha il know-how dolciario. Un aspetto, quest’ultimo, fondamentale in Costiera Amalfitana dove i dolci sono parte essenziale dell’eccellenza gastronomica territoriale.
A guidare la cucina c’è Giuseppe D’Urso, insieme al suo sous chef Nicola Cavallaro, mentre la pizza è appannaggio di Valentino Toscano, che nella sua Vico Equense ha appreso i ferri del mestiere.
A tavola, in un contesto raffinato ma, al contempo, accogliente e familiare, vagamente d’altri tempi ma comunque al passo con gli stessi, visti i numerosi rinnovi a cui gli interni sono stati sottoposti negli ultimi anni, i piatti seguono un fil-rouge tradizionale con tanti guizzi d’innovazione, sempre nel rispetto di stagionalità e territorio. Tanto da essere apprezzati dagli ispettori della Guida Michelin, che segnala il locale sin dal 2007.
E, in effetti, è una cucina fortemente mediterranea quella servita ai tavoli della sala interna o sotto il fresco patio esterno che volge lo sguardo all’insenatura di Laurito in cui domina il verde: gli appassionati della tradizione possono optare per le verdure dell’orto, rielaborate secondo i dettami della tradizione partenopea, dalle scarole stufate con olive e capperi alla parmigiana di melanzane, che tornano protagoniste dell’iconico fritto misto, affiancandosi ad altri must come la mozzarella in carrozza, i crocchè di patate, gli arancini ed i timballi di pasta.
Non a caso, siamo nella parte della Divina che più guarda a Napoli, geograficamente ma anche culinariamente: lo confermano le fattezze della pizza, un buon compromesso tra la contemporanea e la verace.
Per chi vuole puntare, invece, sui primi piatti, si può spaziare dal mare alla terra con dimestichezza, in pieno mood volpe pescatrice, dove la tradizione delle lampare si innesta su quella degli orti, che, però, ha il predominio. Un paradigma, quest’ultimo, che è ancora più forte dopo Amalfi, più ancorata ad una cucina strettamente di mare.
Nel lembo di terra che va da Conca dei Marini fino alle porte di Positano l’influenza della “Montiera”, infatti, è più forte.
Non solo tradizione dura e pura, ma anche tanta innovazione, con le linguine integrali con totani di Praiano e pesto di peperoncini verdi: gli amanti della terra possono puntare, invece, su un tagliolino al tartufo scorzone e fiori di zucca. Grande spazio al pescato del giorno, anche rielaborato in chiave creativa, tra i secondi.
Tra i dessert, immancabili i cannoli con ricotta di bufala ed il semifreddo al torroncino: una vera perla vintage.
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