Nel contesto attuale, anche gli enti territoriali o i creditori privati possano “spiare” liberamente i conti correnti dei cittadini.
La normativa italiana prevede meccanismi rigorosi e limitati per l’accesso ai dati bancari, tutelando il diritto alla riservatezza finanziaria e garantendo che tali consultazioni avvengano solo in casi ben circoscritti e motivati.
Il fondamento giuridico è rappresentato dal principio di riservatezza del rapporto bancario, oggi declinato soprattutto tramite il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) e la normativa nazionale sulla privacy. Le informazioni riguardanti saldo, movimenti e giacenze sono considerate dati personali di natura economico-finanziaria e, pertanto, possono essere trattate solo in presenza di una base giuridica valida. Né le banche né terzi possono comunicare o acquisire tali dati senza un chiaro riferimento normativo o senza un provvedimento dell’autorità competente.
In questo contesto, l’accesso ai dati bancari da parte delle istituzioni pubbliche è soggetto a condizioni stringenti. Non si tratta di un potere generalizzato o di un accesso permanente, bensì di uno strumento funzionale ad attività specifiche, in particolare a fini fiscali e di controllo economico.
Il ruolo dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza
Spesso percepite come detentrici di un potere illimitato, Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza possono accedere all’Anagrafe dei Rapporti Finanziari soltanto in presenza di presupposti ben definiti. L’accesso è finalizzato a supportare indagini fiscali su contribuenti per i quali emergano elementi di rischio, anomalie tra redditi dichiarati e spese sostenute, o nell’ambito di procedimenti di verifica già attivati.
La Guardia di Finanza, quale corpo di polizia economico-finanziaria, esercita i suoi poteri di accesso nell’ambito di indagini fiscali, tributarie o penali, e sempre nel rispetto di un quadro normativo che richiede giustificazioni investigative concrete. Le operazioni di controllo non sono quindi automatiche né slegate da procedimenti formali, ma sono soggette a verifiche interne, controlli giurisdizionali e garanzie procedurali.

Negli ultimi anni, il legislatore italiano ha potenziato gli strumenti di collaborazione tra amministrazioni, permettendo un più ampio accesso alle banche dati fiscali anche a Comuni e Regioni. Tuttavia, ciò non si traduce in un diritto indiscriminato di consultare i conti correnti dei cittadini. L’accesso è consentito unicamente per finalità legate all’accertamento e alla riscossione dei tributi di competenza degli enti locali, e sempre nel rispetto della normativa sulla privacy.
L’uso di tali dati da parte degli enti territoriali è quindi limitato a funzioni amministrative concrete, non a una generica attività di monitoraggio patrimoniale. Questa regolamentazione serve a tutelare i diritti dei cittadini e a evitare abusi nell’uso delle informazioni finanziarie.
Creditori privati e accesso ai dati bancari: regole stringenti
Ancora più restrittivi sono i presupposti per i creditori privati che intendano accedere ai dati bancari di un debitore. Un creditore non può né direttamente né autonomamente consultare il conto corrente del debitore. Per farlo, è necessario disporre di un titolo esecutivo valido, come una sentenza definitiva o un decreto ingiuntivo, e notificare un atto di precetto.
Solo all’interno di una procedura esecutiva, e previa autorizzazione del giudice, il creditore può accedere all’Anagrafe dei Rapporti Finanziari per identificare i conti correnti del debitore e procedere eventualmente a un pignoramento. Qualsiasi tentativo di acquisizione di dati bancari al di fuori di questo iter è considerato illecito e può comportare conseguenze legali.
