In occasione dell’anniversario della tragica alluvione del 1954, spesso (e doverosamente) si riflette e si discute delle conseguenze – drammatiche – di un fenomeno che ha segnato indelebilmente la storia di Salerno e di parte della Costiera Amalfitana.
La situazione eccezionale ebbe, però, radici ben salde in una configurazione meteorologica che i manifestò con precipitazioni mai eguagliate, specie nel rapporto tra accumuli pluviometrici e tempo in cui le piogge caddero al suolo.
Un quadro chiaro della situazione lo traccia l'”Analisi meteorologica e idro-geologica dell’alluvione di Salerno del 25-26 ottobre 1954″ degli studiosi Giuseppe Braca, Giuseppe Tranfaglia, Eliana Esposito, Sabrina Porfido, Crescenzo Violante ed Adriano Mazzarella.
“La mattina del 25 ottobre – si legge – un’ estesa saccatura, presente sull’Europa centro-occidentale e preceduta da un fronte caldo, si avvicinava al Tirreno occidentale con direzione W-E. Nella stessa direzione, all’altezza del Mediterraneo occidentale, seguiva un fronte freddo, mentre dalla Libia e dalla Tunisia affluivano sull’Italia masse di aria caldo-umide“
“La sera dello stesso giorno, sull’Italia settentrionale e sull’Appennino Tosco-Emiliano si determinava un centro depressionario, in spostamento verso Est, con ulteriore richiamo delle masse d’aria caldo-umide dalle coste africane“, si legge, ancora. Lasciando, dunque, spazio, alla descrizione di una configurazione meteorologica che non di rado si verifica in autunno nel nostro territorio: uno “scontro” tra masse d’aria calde e fredde che, tuttavia, ebbe più forza ed intensità del previsto.
“Le masse d’aria del fronte caldo, spinte dal fronte freddo e rallentate nel movimento verso Est dalla catena appenninica centro-meridionale, si espandevano in quota determinante un contrasto tra le masse d’aria, con conseguente instabilità, i cui effetti si manifestarono con maggiore intensità sulla città di Salerno e
nella Costiera Amalfitana“, continua, ancora, il paper scientifico realizzato nel 2007, cinquantatrè anni dopo la tragica vicenda.
Certo, non si trattava di una situazione senza precedenti: si pensi, ad esempio, all’alluvione di Cetara del 1910. Tuttavia, mai prima di allora si erano registrati accumuli di pioggia così ingenti ed in così poco tempo.
C’è, però, da aggiungere un dettaglio: tutti gli eventi alluvionali in Costiera Amalfitana erano stati sempre preceduti da fasi ricche di precipitazioni che avevano predisposto i terreni all’instabilità.
Come si nota dal grafico che mostra le isoiete dell’evento (ovvero gli accumuli di pioggia registrati nelle varie aree colpite dai fenomeni alluvionali) le piogge furono fortissime a Salerno (la stazione meteorologica del Genio Civile misurò 504,6 mm dalle 13 del 25 ottobre alle 6 del giorno successivo).
Fu molto colpita anche Maiori, con 112 mm di pioggia, Ravello, con 141 mm di accumulo pluviometrico. Fuori dalla Costiera Amalfitana, fu la stazione di Cava de’Tirreni a riportare i dati peggiori dopo il capoluogo: del resto, la zona di Molina di Vietri, adiacente la città metelliana, fu particolarmente colpita dai fenomeni alluvionali, che portarono allo straripamento del Torrente Bonea.
82,11 mm furono registrati, invece, ad Amalfi, già relativamente meno colpita dall’alluvione, mentre la zona occidentale della Divina non fu quasi interessata dalle piogge, che, sostanzialmente, furono nella norma: basti pensare che la stazione meteorologica di Agerola San Lazzaro registrò un accumulo di 65 mm, mentre accumuli a singola cifra vi furono in Penisola Sorrentina (Piano di Sorrento 1,1 mm; Sorrento 3,6 mm).
Questo a testimonianza di quanto anche fenomeni locali possano essere molto intensi e di quanto le conseguenze del clima possano essere profondamente differenti anche nel giro di pochi chilometri.