Nel panorama attuale del diritto del lavoro, emerge con forza la questione relativa al mancato versamento dei contributi.
Una recente pronuncia della Corte d’Appello di Messina (sentenza n. 620/2024) ha fornito chiarimenti fondamentali sulle conseguenze di tali inadempienze, distinguendo tra le implicazioni per la previdenza e quelle per la tassazione fiscale.
Il lavoratore dipendente riceve una busta paga in cui la retribuzione lorda viene decurtata da contributi previdenziali e ritenute fiscali. Il datore di lavoro agisce come sostituto d’imposta e previdenziale, trattenendo le somme dovute dal lavoratore e versandole rispettivamente all’INPS e all’Agenzia delle Entrate. In particolare, i contributi previdenziali sono ripartiti tra azienda e lavoratore, con quest’ultimo soggetto a una trattenuta pari al 9,19% circa del proprio compenso, mentre le imposte IRPEF sono interamente a carico del lavoratore.
La puntualità nel versamento è un obbligo imprescindibile per il datore di lavoro, che deve adempiere entro termini stabiliti per legge. Il mancato o ritardato versamento può generare effetti significativi, ma è importante sottolineare che le responsabilità ricadono quasi esclusivamente sull’azienda.
Contributi INPS non versati o versati in ritardo: quali conseguenze?
La normativa italiana, risalente all’articolo 19 della legge n. 258/1952, sancisce che il datore di lavoro può trattenere i contributi a carico del dipendente solo se li versa effettivamente e tempestivamente all’INPS. In caso contrario, perde il diritto di rivalsa nei confronti del lavoratore e diventa interamente responsabile del versamento, assumendo l’onere sia della propria quota che di quella trattenuta al dipendente.
Ad esempio, se un’azienda non versa nei termini i contributi relativi al mese di marzo, inclusa la quota del dipendente Mario pari a 150 euro, dovrà saldare l’intera somma direttamente all’INPS senza poterla più recuperare dal lavoratore. Questo principio tutela il lavoratore da eventuali inadempienze del datore di lavoro e impedisce che il dipendente subisca conseguenze economiche per colpe non sue.

Diversamente dai contributi previdenziali, il mancato versamento delle ritenute fiscali da parte del datore di lavoro segue il principio di cassa: il lavoratore è tenuto a pagare le tasse solo nel momento in cui percepisce materialmente il reddito. Pertanto, se l’azienda non versa l’IRPEF trattenuta o non paga lo stipendio, il lavoratore che recupera le somme arretrate dovrà dichiararle integralmente, assoggettandole poi a tassazione separata.
Questo regime fiscale, disciplinato dall’Agenzia delle Entrate, evita che l’incasso di una somma arretrata determini un aumento sproporzionato dell’aliquota IRPEF nell’anno di incasso, distribuendo l’imposizione fiscale in modo più equilibrato e tutelando il contribuente.
Come recuperare i contributi previdenziali non versati in caso di azienda chiusa o prescrizione
Una problematica frequente riguarda il cosiddetto “buco contributivo”, ovvero periodi in cui i contributi non sono stati versati e l’azienda responsabile è cessata o non più reperibile. Trascorsi cinque anni, termine della prescrizione, non è più possibile obbligare l’ex datore di lavoro a regolarizzare la posizione previdenziale.
In questi casi, la legge italiana, con la Legge n. 203 del 2024 (articolo 30), consente al lavoratore di ricorrere alla costituzione di rendita vitalizia a proprie spese per colmare tale lacuna contributiva. La procedura prevede la presentazione di una domanda formale all’INPS, corredata da prove documentali (contratti, buste paga, certificazioni uniche, estratti conto bancari, sentenze), che attestino l’esistenza del rapporto di lavoro.
L’INPS calcola l’importo da versare, noto come riserva matematica, che rappresenta il capitale necessario per finanziare la quota di pensione derivante da quel recupero contributivo. Questa somma, che varia in base a età, sesso, anzianità contributiva e retribuzioni, può essere versata anche a rate. Una volta effettuato il pagamento, i contributi vengono accreditati all’INPS e incidono positivamente sia sull’anzianità contributiva sia sull’ammontare finale della pensione.
