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La mamma di Rita Atria distrusse la lapide della figlia a martellate

Rita Atria è nota come la “picciridda” di Paolo Borsellino. Figlia di un mafioso, fu testimone di giustizia che osò ribellarsi a Cosa Nostra a soli 17 anni.

Nata e cresciuta a Partanna, in un territorio controllato dai Messina Denaro, la vita di Rita fu segnata fin dalla giovane età dalla cultura mafiosa. A 11 anni perse il padre Vito Atria, mafioso della locale cosca, ucciso in un agguato. Si legò particolarmente al fratello Nicola e alla cognata Piera Aiello, da cui raccolse informazioni preziose sulla dinamica mafiosa di Partanna.

Il coraggio di Rita: dalla perdita del fratello alla collaborazione con la giustizia

Nel 1991, Rita subì un altro duro colpo: l’omicidio del fratello Nicola, anch’egli mafioso. Piera Aiello, presente all’omicidio del marito, decise di denunciare i due assassini e iniziare a collaborare con la polizia.

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Rita, all’età di 17 anni, decise di seguire le orme della cognata, avviando la sua collaborazione con la magistratura nel novembre dello stesso anno. Fu il procuratore di Marsala, Paolo Borsellino, a raccogliere le sue prime rivelazioni. La collaborazione di Rita e Piera permise l’arresto di diversi mafiosi e l’avvio di un’indagine su Vincenzino Culicchia, per trent’anni sindaco, o meglio padre/padrone di Partanna.

Il legame con Paolo Borsellino e il coraggio di denunciare la propria famiglia

Con Paolo Borsellino, Rita creò un legame forte. Trascorse molto tempo con lui e la sua famiglia, venendo considerata come una di loro. Rita non aveva colpe, non aveva mai commesso alcun reato. Tuttavia, ebbe il coraggio di denunciare la propria famiglia, attirando su di sé il disprezzo della madre che la ripudiò.

Il tragico epilogo: il suicidio e la distruzione della lapide

Rita Atria si suicidò una settimana dopo la strage di via D’Amelio, in cui perse la vita Paolo Borsellino, considerato da lei come un padre. Si lanciò dal settimo piano di un palazzo di viale Amelia a Roma, dove viveva in segreto in quanto testimone di giustizia. Dopo la sua morte, la madre, in un gesto di inaudita violenza, distrusse a martellate la sua lapide, ritenendo che le scelte della figlia avessero “disonorato” la famiglia.

Il testamento morale di Rita Atria: parole di lotta e speranza

Le parole scritte da Rita poco prima di morire rappresentano una forte denuncia e un messaggio di lotta contro il “sistema”. Il suo testamento morale è un monito ancora attuale, a trent’anni di distanza.

Nel tema di maturità del 5 giugno 1992, riflettendo sulla strage di Capaci, scrisse: “L’unica speranza è non arrendersi mai – Finché giudici come Falcone, Paolo Borsellino e tanti come loro vivranno, non bisogna arrendersi mai, e la giustizia e la verità vivranno contro tutto e tutti… Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo”. Queste parole rappresentano la visione di Rita Atria: una giovane donna che aveva deciso di lottare per la giustizia e di sognare un mondo migliore.

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