William O’Neal ha segnato a suo modo un piccolo pezzo della storia americana. La sua vita viene raccontata nel film Judas and the Black Messiah.
William O’Neal nacque e crebbe a Chicago, un ambiente urbano che ha segnato la sua gioventù con il confronto con la legge. Le prime schermaglie con le autorità giunsero durante l’adolescenza, culminando con l’arresto nel 1967 per furto d’auto dall’agente dell’FBI Roy Martin Mitchell. Il furto d’auto era un reato federale poiché O’Neal aveva attraversato il confine dello stato, dall’Illinois al Michigan, con l’auto rubata.
Nell’anno successivo al suo arresto, l’FBI propose a O’Neal un accordo: tutte le accuse a suo carico sarebbero cadute e avrebbe ricevuto uno stipendio mensile in cambio della sua infiltrazione nelle Pantere Nere in qualità di informatore. Questo avvenne in un periodo in cui l’FBI aveva esteso le operazioni COINTELPRO per comprendere anche le organizzazioni femministe e degli attivisti di colore e nativi americani.
Accettata l’offerta dell’FBI, O’Neal si avvicinò a Fred Hampton, il giovane leader delle Pantere Nere che all’epoca aveva solo 20 anni. A O’Neal fu affidato il ruolo di guardia del corpo del leader, ottenendo così l’accesso e le chiavi di diverse sedi e case sicure delle Pantere.
Nel 1969, Hampton lavorava alla Rainbow Coalition, un’alleanza di vari gruppi di minoranze nell’area di Chicago. La sua crescente influenza politica preoccupava sempre più la polizia, che quell’estate effettuò varie retate, arrestò molti membri delle Pantere e incendiò la loro sede principale. In seguito, l’FBI incaricò O’Neal di disegnare una piantina dell’appartamento di Monroe Street, a Chicago, un luogo di ritrovo frequente per le Pantere, in modo da pianificare un’incursione.
Il 3 dicembre 1969, dopo una lezione politica tenuta da Hampton, O’Neal cucinò un pasto per i membri delle Pantere presenti e mise del secobarbital nel bicchiere di Hampton, in modo che quest’ultimo non si svegliasse durante l’incursione della polizia prevista per quella notte.
Il coinvolgimento di O’Neal nell’incursione venne rivelato solo nel 1973. O’Neal, sotto falso nome, fu trasferito in California grazie al programma federale di protezione testimoni degli Stati Uniti e ritornò segretamente a Chicago nel 1984.
Nel 1989, durante un’intervista per il documentario “Eyes on the Prize II“, dedicato al movimento dei diritti civili statunitense, O’Neal parlò della sua relazione con l’agente dell’FBI Roy Mitchell, con Fred Hampton e le Pantere, negando di aver drogato Hampton la notte del suo assassinio e di essere mai stato leale alle Pantere Nere.
Nelle prime ore del mattino del 15 gennaio 1990, O’Neal si gettò in mezzo al traffico della superstrada Interstate 290, dove fu investito e ucciso da un’auto. Nonostante la sua morte fosse stata dichiarata suicidio, la moglie di O’Neal ha negato questa ipotesi.
Ben Heard, zio di O’Neal, ha affermato che la colpa per la morte del nipote era dovuta al senso di colpa che O’Neal provava per la sua collaborazione con l’FBI. Il suo racconto della tragica fine di O’Neal evidenzia il complesso legame tra lealità, tradimento e le scelte disperate che possono derivare da un sentimento di colpa insostenibile.
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