Aveva solo 16 anni quando ha trovato il coraggio di ribellarsi. Dopo mesi di violenze e isolamento, una ragazza della provincia di Salerno ha denunciato il compagno che la costringeva a vivere in condizioni disumane. Grazie alla sua forza d’animo, è riuscita a liberarsi da quell’incubo, ha portato avanti la gravidanza in una comunità protetta e oggi, a 18 anni, sta costruendo una nuova vita insieme al figlio.
Il processo
I fatti, avvenuti nel 2022, sono ora al centro di un processo in corso presso il Tribunale di Salerno. Alla sbarra c’è A.S., 24 anni, accusato di maltrattamenti aggravati dalla gravidanza della vittima. Il giovane è difeso dall’avvocato Elena Criscuoli, mentre la ragazza è rappresentata dal legale Sandro Amato.
Nel corso della prima udienza, come riporta Il Mattino, presieduta dal giudice Passaro, con Di Filippo e Pulcinaro come giudici a latere, sono state ascoltate due testimoni fondamentali: la madre dell’imputato e una compagna di classe della vittima.
Dalle testimonianze è emersa una situazione di totale abbandono. La madre dell’imputato ha dichiarato: «Un giorno la ragazza sanguinava dall’orecchio», senza però spiegare l’origine delle ferite. Ha inoltre raccontato di aver cercato di prestarle soccorso e di aver contattato la madre della giovane, che avrebbe risposto: «Pensaci tu, a me non importa nulla».
Anche la compagna di classe ha confermato che la ragazza viveva senza alcun supporto familiare: «I suoi genitori non si sono mai visti: era una ragazza sola e a scuola sapevamo tutti della sua gravidanza. Poi, improvvisamente, ha smesso di frequentare e non l’abbiamo vista più».
Il racconto della giovane, riportato da Il Mattino in un articolo a firma di Viviana De Vita, si intreccia con quello della sua amica, che ha ricordato un episodio inquietante avvenuto fuori dalla scuola: «Un giorno davanti alla scuola si presentò il fidanzato: voleva sapere dov’era la sua ragazza. Ci minacciò, ci disse che aveva i nostri numeri di telefono e che sapeva dove abitavamo. Abbiamo avuto paura».
L’accusa, rappresentata dal pubblico ministero Gianpaolo Nuzzo, sostiene che il fidanzato la teneva segregata in casa, allontanandola da tutti. A supporto di questa tesi, nel fascicolo dell’indagine sono state incluse le fotografie che la ragazza inviava alla sua amica, immagini che documentano i segni della violenza subita.
Oggi la giovane ha tagliato ogni legame con la sua famiglia e con l’uomo che ha indicato come padre di suo figlio, il quale non ha mai riconosciuto il bambino, che porta quindi il cognome della madre.