La Repubblica ha pubblicato oggi un articolo a firma di Barbara Cangiano tutto dedicato alla tradizione culinaria della Costiera Amalfitana.

Nell’articolo vengo raccontati i dieci migliori patti della cucina tradizionale della nostra Costiera, una carrellata di bontà uniche dagli ndunderi alla pizza di Tramonti, dagli spaghetti alla colatura alla sfogliatella di Santa Rosa.

“La tradizione gastronomica della costiera è antica e affonda le sue radici nei sacrifici di pescatori e coltivatori di viti e limoni. Profuma di vento e salsedine e, ancora oggi, è una delle molle che spinge i turisti da tutto il mondo ad una tappa obbligata, sia in estate che in inverno. Che sia per un week end o una sosta più lunga, ecco l’elenco dei piatti da non perdere” – così si legge nell’articolo di Repubblica.

I 10 migliori piatti della Costa d’Amalfi secondo la Repubblica

Gli ndunderi

Non si può passare per Minori senza assaggiare questi particolarissimi gnocchi che, secondo alcuni, derivano dalle palline latine dei romani, a base di farro e latte cagliato. I pastai minoresi le rielaborarono, creando una pietanza fatta di farina, ricotta, formaggio, rossi d’uovo, sale e pepe, che non può mancare in tavola in occasione dei festeggiamenti di Santa Trofimena. “La ricetta tradizionale prevede che vadano conditi con un classico ragù di carne e poi infornati con tocchetti di provola – spiega Giovanni Cozzolino, chef de Il Giardiniello di Minori – Oggi noi la proponiamo in diverse versioni, con pomodoro, basilico e stracciata di bufala oppure con i frutti di mare e i fiori di zucca”. Una curiosità: “Il battesimo del minorese doc consisteva nello sporcarsi il colletto della camicia con il sugo degli ndunderi – continua Cozzolino – In passato era considerata la prova che si era reso omaggio alla Santa con il piatto della tradizione”.

Foto by blog La Pasta di J Momo

Melanzane con il cioccolato

Gli amanti dell’ortaggio violaceo saranno felici di sapere che con le melanzane si può fare di tutto, dall’antipasto al dolce. C’è chi sostiene che l’invenzione porti la firma delle suore agostiniane di Santa Maria della Misericordia che conquistarono perfino il palato della nipote dello zar di Russia Nicola II in vacanza in Campania e chi le attribuisce ai frati francescani del convento di Tramonti. Fatto sta che le melanzane al cioccolato hanno resistito alla sfida del tempo. “E’ un piatto tipico di Maiori, che in genere si prepara in occasione della festa di Santa Maria a Mare, ad agosto – racconta Saturnino Abbondati, chef del ristorante Da Gemma ad Amalfi – La ricetta non è complessa: le melanzane si friggono due volte. Prima nude, poi vengono passate nella farina e bagnate in un composto di uova e latte e nuovamente fritte, questa volta con una spruzzata di rum. Una volta asciutte vengono passate in una miscela di zucchero e cacao e poi ricoperte con una salsa al cioccolato a cui si possono aggiungere nocciole, canditi e mandorle”.

La sfogliatella di Santarosa

E’ chiamata così dal nome della Santa a cui era dedicato questo dolce, la protettrice del convento di Conca dei Marini in cui, secondo la tradizione, nel 1600, fu inventata l’antesignana di tutte le sfogliatelle. Per non buttare via nulla, le suore decisero di riciclare il semolino avanzato dal pranzo bagnandolo nel latte, fino a farne una vera e propria prelibatezza. Per gustarla, sia nella versione originaria che in chiave moderna, tappa d’obbligo è la pasticceria Pansa di Amalfi, dove Nicola organizza ogni anno, a settembre, il Santarosa pastry cup, un concorso gastronomico che chiama a raccolta il gotha della pasticceria italiana e non solo. “E’ l’unico dolce che produciamo con lo strutto – chiarisce Pansa – In genere prediligiamo i grassi nobili, ma per realizzare un “tappo” perfetto, non c’è altra soluzione. Quella classica, secondo la versione del monastero, è “liscia” come una frolla farcita con ricotta dei Lattari e crema pasticciera”. La gemella contemporanea è invece riccia ed arricchita con bacche di vaniglia del Madagascar, canditi, crema pasticciera e amarene.

La colatura di alici

Discendente del garum romano menzionato da Plinio e usato da Apicio, è un condimento che nasce dalla macerazione delle alici cetaresi sotto sale. Le alici sono pescate con il metodo del cianciolo, da fine marzo a inizio luglio. I pesci vengono privati della testa ed eviscerati, prima di essere cosparsi di sale marino in un contenitore dove restano le prime 24 ore. Poi vengono sistemati con la tecnica detta del testa coda in una piccola botte di rovere o di castagno, denominata terzigno, sulla cui copertura si collocano dei pesi. Man mano il composto produrrà un liquido ambrato, che, opportunamente lavorato, si presta come pregiato accompagnamento per paste o per antipasti. Un must per chi vuole provarlo in abbinamento con gli spaghetti è il ristorante l‘Acquapazza di Gennaro Castiello. Olio, prezzemolo, aglio e peperoncino completano il mix di sapori sapidi. “E’ un piatto tipico della vigilia di Natale – spiega Castiello – ma viene gustato durante tutto l’anno. Per chi ama le verdure, la colatura è un ottimo insaporitore anche per broccoli e patate”. All’Acquapazza è anche possibile degustare le vere alici di Cetara, nella versione maturata in barrique.

La pizza di Tramonti

Altolà. Non parliamo della classica pizza napoletana, ma di una ricetta antichissima che trae origine nel Medioevo, quando nei forni rurali si usava preparare una panella di segale, miglio e orzo che si consumava appena sfornata accompagnata con spezie e lardo. Agli inizi del Novecento la maggior parte delle famiglie che abitavano i borghi di Tramonti e delle sue frazioni, avevano un forno a legna per cucinare il pane biscottato. “Per testare il forno – racconta Francesco Maiorano della pizzeria San Francisco di Polvica – si preparava una specie di pizza che poi veniva accompagnata con aglio, origano, pomodoro e alici di Cetara”. Ancora oggi viene cotta in forni a 350 gradi e servita con il pregiato fior di latte dei monti Lattari. Quella classica è ricoperta di pomodoro corbarino, ma le varianti sono tantissime. Le new entry del San Francisco sono la Bhee, con burro di capra, pomodorini confit home made, timo e alici o la Halley (che si sforna solo ad agosto) con fichi freschi, culatello e riduzione di gocce di vino Tintore.

La delizia al limone

E’ senza dubbio uno dei simboli della Costa Diva. Amato, copiato, esportato in tutto il mondo. La sua genesi è controversa, ricorda Sal De Riso che, nel 1989, contribuì in modo determinante a rendere questo dolce celebre. “La base è costituita da un pan di Spagna leggero, farcito con una crema al limone e ricoperto da una glassa agli olii essenziali di limone. Qualcuno sostiene che sia stato inventato a Sorrento, qualcun altro che il suo avo si chiamasse l’isola galleggiante e fosse presente nei menù già nel 1700. Certo è che tra i tanti prodotti che produciamo è il più richiesto, dagli italiani e dagli stranieri”. E restando in tema di limone, in vista del Natale non si può non provare il panettone al limoncello, una ghiottoneria che dal laboratorio di Minori approda ogni anno in mezzo mondo, da Parigi al Giappone. Per accompagnare questi dessert, oltre al classico Limoncello, ottenuto dalla macerazione, nell’alcol, delle scorze dei limoni, si può sperimentare il Concerto, il più antico rosolio della Costa d’Amalfi. Nato nell’antico conservatorio di Pucara, una frazione del comune di Tramonti, è una sinfonia di erbe e spezie introdotte nel Ducato Amalfitano dai Saraceni al tempo delle Repubbliche marinare. Dentro vi si trovano anice volgare e anice stellato, cannella, coriandolo, chiodi di garofano, ginepro, sandalo, calamo, noce moscata, bagnati con uno sciroppo a base di orzo, caffè e zucchero.

La genovese di tonno

Per i pescatori il tonno è come il maiale per i contadini. Non si butta via niente. E la fantasia è d’obbligo per rendere sempre nuovo e gustoso il pescato. Lo sanno bene i cetaresi, che fino ai primi trent’anni del Novecento si dedicavano alla pesca del tonno con una rete fissa posta nella frazione di Erchie, che disegnava una enorme T capace di intrappolare i cetacei. Oggi la flotta tonniera di Cetara è in grado di sfidare le potenti navi giapponesi nella conquista del rosso del Mediterraneo e secondo alcune interpretazioni, lo stesso nome del borgo marinaro deriverebbe dalle citariae, le antichissime imbarcazioni usate dai pescatori. Fresco, sott’olio, al naturale, il tonno di Cetara è una prelibatezza apprezzata oltre i confini nazionali. Una ricetta particolarmente gustosa è quella della genovese. “La proponiamo da anni – dicono Francesco Tammaro e Bruno Milano del ristorante San Pietro di Cetara– ed è uno dei piatti che amano di più i nostri clienti”. Per prepararla a casa occorre dotarsi di tempo e pazienza, perché il procedimento non è rapidissimo: “Bisogna stufare le cipolle nell’olio per almeno un paio d’ore – raccontano i due soci – Poi, a parte, si fanno rosolare coda e ventresca del tonno con rosmarino, pepe e uno spruzzo di vino bianco. Una volta cotti i pezzi di tonno, si tuffano nelle cipolle dove devono restare a “pippiare” per altre due ore”. Alla fine, il condimento per la pasta corta è servito e volendo, lo si può arricchire con una spolverata di Parmigiano.

Foto by antonellagea

La frittata di pasta al limone o al cioccolato

Nella duplice versione salata o dolce, è una “chicca” ormai introvabile. La ricetta dei contadini che la utilizzavano come colazione corroborante prima di inerpicarsi sui terrazzamenti dove coltivavano viti e limoni, è riproposta oggi a Salerno da Botteghelle 65, la risto-salumeria gourmet di Pino Adinolfi. “E’ un piatto difficilissimo, se non impossibile da ritrovare al ristorante – spiega Adinolfi – Io ho rispolverato la ricetta di mia nonna Giuseppina che era di Atrani. In passato, tra i contadini, era indispensabile fare economia, ma al tempo stesso inventare piatti che potessero fornire energia. La frittata nasce così, dalla raccolta di avanzi di pasta di tutti i formati, mescolati con uova e formaggio e con un tocco di limone che rende più profumato e gradevole l’impasto che poi va fritto in olio bollente”. La versione al cioccolato è presente ancora oggi sulle tavole pasquali di Raito: “Gli spaghetti vengono cotti nel latte e nella cannella – continua Adinolfi – Poi si mescolano con uova, uva sultanina, arancia candita e cioccolato fondente, prima di essere cotti in forno”. Gli ultimi a leccarsi i baffi sono stati i buyer che hanno preso parte alla Borsa mediterranea del turismo archeologico di Paestum, giunti appositamente in “pellegrinaggio” per assaporare questa squisitezza.

Gli spaghetti alla Jacqueline

Non sono un piatto classico della tradizione, ma sono diventati un’icona. Parliamo degli spaghetti alla Jacqueline, inventati dal fondatore de La Tonnarella di Conca dei Marini, Umberto Lauritano detto ‘o Bacchis. Oggi gli eredi portano avanti il ristorante a pelo d’acqua sul mare, dove negli anni Sessanta, e precisamente nell’estate del 1962, Jacqueline Kennedy con la sorella principessa Lee Radzwill e i figli Caroline e John Jr, di stanza a Ravello per un soggiorno di relax, rimase folgorata dal borgo marinaro caratterizzato dalle reti dei pescatori e dalla veracità delle donne affacciate ai balconi a picco sugli scogli. Tra sugheri e nasse, scoprì ‘o Bacchis che, per renderle omaggio, creò un piatto molto simile alla più celebre Nerano, a base di zucchine, cipolle, pancetta e tanto, tantissimo basilico fresco.

Totani e patate alla praianese

A ricordarne la storia è Paolo Gagliano dell’hotel Tritone di Praiano: “Questo piatto nasce dalla tradizione di Praiano, un piccolo paese della costiera amalfitana, che prima di essere conosciuto al grande pubblico come destinazione turistica viveva per lo più di pesca e agricoltura. E’ da queste origini che ha origine il connubio tra due ingredienti apparentemente lontani. Sui terrazzamenti trovano il loro habitat perfetto le patate che grazie al terreno calcareo e al sole crescono molto asciutte, caratteristica che esalta ulteriormente il loro utilizzo in questa ricetta. Per quanto riguarda i totani, invece, in quasi tutte le famiglie c’era la presenza di un pescatore che al calar del sole prendeva la propria barca a remi e passava la serata in mare. Il resto è merito delle massaie che sono riuscite a creare un piatto memorabile grazie alla loro abilità e dedizione in cucina”. Totani e patate vanno cotti con aglio, olio e peperoncino e serviti con una abbondante spruzzata di prezzemolo fresco.