Avete mai sentito parlare del funerale di Carnevale? E di Tatillo? Si, proprio Tatillo, ovvero il protagonista di questa messa in scena: vestito in abito nero, con bombetta e bastone, adagiato in una cassa da morto e ricoperto fino alla cintola da un lenzuolo, sul quale si disponevano una tortiera di lasagne, qualche metro di salsiccia, un vaso da notte pieno di perciatelli a ragù e delle grosse polpette di carne di maiale ed infine un fiasco di vino.

Ecco, questo, un tempo era il funerale di Carnervale. Il funerale di Tatillo (diminutivo dialettale di tato, cioè nonno, anziano) che andava in scena proprio come è stato descritto.

Uno spettacolo appartenente alla tradizione popolare che si svolgeva nell’ultimo martedì grasso in molti paesi (ma anche in qualche città) del nostro Mezzogiorno. E tra questi anche Amalfi dove l’appuntamento con la morte di Tatillo era un evento da non perdere. L’ultima rappresentazione è andata in scena quattro anni fa.

Esattamente il 4 marzo 2014, quando un gruppo di giovani decise di inscenare il funerale di Carnevale partendo da piazza Piazza Spirito Santo fino ai piedi della cattedrale. Lo stesso percorso insomma che si faceva compiere a due storici protagonisti della morte di Tatillo: Scerminio e Andrea Anastasio, da tutti conosciuto come o’ drogat ma solo perché la sua famiglia era proprietaria di uno storico alimentari detto un tempo drogheria ovvero rivendita di spezie, di generi alimentari vari, o anche di prodotti casalinghi.

E come ad Amalfi in ogni paese c’era un cittadino che si prestava volentieri ad interpretare la parte del morto. La cassa, portata a spalla dagli amici di Carnevale vestiti con abiti colorati e ridicoli apriva il corteo che talvolta partiva dalla piazza centrale della città.

Seguiva il funerale “Quaresima” (un omaccione vestito da donna) che, rimasta vedova ed incinta si trascinava in braccio l’altro figlioletto dimenandosi e strappandosi i capelli, fra singhiozzi e grida di: «E’ muorte Tatillo! E’ muorte giovane giovane!».

Il popolo che seguiva il feretro rispondeva cantilenando: «Ta…til…lo mi…o». E si procedeva così fino al luogo in cui Carnevale saltava giù dalla cassa da morto. il “tauto” diventava così tavola imbandita per l’ultimo pranzo di Carnevale e da dove becchini e popolo prelevavano e mangiavano con le mani le grosse polpette e i lunghi perciatelli che fino a poco prima erano stati trascinati in processione.