La domanda che tutti si sono fatti almeno una volta nella vita è la seguente: perché la Befana porta la calza?

L’uso di mettere doni (caramelle, frutta secca, mandarini ecc.) all’interno di una calza appesa al focolare nella notte della befana avrebbe un valore propiziatorio e di rinnovamento per l’anno nuovo.

Esistono molte versioni, tra mito e leggenda, ma quella più accreditata è questa.

Diretti a Betlemme per portare i loro doni – oro, incenso e mirra – a Gesù Bambino, i Re Magi, avendo delle difficoltà nel raggiungere la grotta della Sacra Famiglia, chiesero informazioni ad una vecchietta incontrata lungo la strada. Malgrado le loro insistenze, la donna non volle unirsi a loro per far visita al piccolo appena nato, per poi pentirsene.

Così, preparò un cesto ricco di dolci di ogni tipo, uscì di casa e si mise in cammino alla ricerca dei Re Magi, senza però riuscirci.

Ad ogni casa che trovava lungo il suo cammino si fermava per donare dolciumi ai bambini che vi abitavano, nella speranza che uno di essi fosse il bambino Gesù.

Nasce così la leggenda della Befana che, di casa in casa, regala dolcetti ai bimbi buoni.

Una leggenda dice che Numa Pompilio, uno dei famosi sette re di Roma, avesse l’abitudine di appendere durante il periodo del solstizio d’inverno una calza in una grotta per ricevere doni da una ninfa.

La Befana nel tempo si è configurata come una strega benevola, generosa dispensatrice di frutti della terra.

I suoi doni alimentari quali frutta secca, mele, arance, vanno letti come offerte primiziali, che, richiamando i semi della terra, vengono ad esercitare una funzione propiziatoria.

Il carbone, antico simbolo rituale dei falò, inizialmente  veniva inserito nelle calze o nelle scarpe insieme ai dolci, in ricordo del rinnovamento stagionale.

Poi la cultura cattolica trasformò il carbone in simbolo di punizione per i bambini che si erano comportati male durante l’anno.

Nella civiltà contadina le calze della befana (una per ciascun bambino della famiglia), di solito erano appese sotto la cappa, perché la vecchia le trovasse subito.

Molti le agganciavano direttamente alla catena del paiolo, altri a dei chiodi fissi in qualche angolo del focolare. Ma non tutti i bambini usavano appendere le calze per la Befana.

Alcuni invece che le calze, mettevano bene in vista delle belle scarpe o degli stivaletti. La Befana, si sa, ha sempre tanti buchi nelle scarpe, così avrebbe potuto prendersi quelle nuove e lasciare in cambio i suoi doni.

Se invece non ne aveva bisogno, lasciava le scarpe al loro posto riempiendole di doni.

In certi paesi c’erano bambini che non mettevano né calze, né scarpe, né stivali per i doni della Befana. Preferivano invece cestini, canestri, panieri, piatti, ciotole di legno e cappelli rovesciati.

Ma erano le calze ad essere preferite da tutti, perché essendo di lana si allargavano facilmente e quindi contenevano più doni.

I bambini furbi, anziché le loro calze, che erano piccole, appendevano le lunghe calze nere della mamma e della nonna, che di doni potevano raccoglierne ancora di più.

In epoca moderna a fare le veci della Befana sono sempre stai i nonni che, ogni anno, preparano calze di lana lavorate a mano piene di leccornie, lasciate appese ai caminetti o in altri posti “strategici”, non prima di aver fatto scrivere ai nipotini una lettera indirizzata alla Befana nella quale esprimere i propri desideri.

Con il passare degli anni anche la calza è cambiata; in passato erano meno ricche e più semplici, con frutta secca e zucchero d’orzo fatto in casa, mentre in anni più recenti si è passati ai dolciumi e alle caramelle.

Attenzione, però: questo vale solo per i bimbi buoni, perché per quelli “monelli” sono previsti tutt’altri doni, come carbone, cenere, cipolle, aglio, carote.

Calza a parte, l’Epifania rappresenta, da sempre, un’occasione per stare in famiglia e trascorrere del tempo insieme, l’ultimo giorno di festa delle vacanze di Natale.