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Chi era Simonetta Cesaroni: storia vera, fidanzato, genitori e omicidio

Simonetta Cesaroni uccisa, nel cosiddetto “delitto di via Poma”, e sono trascorsi ben 33 anni. A distanza di questo tempo il colpevole ancora non è individuato. Ma chi era? Diamo uno sguardo alla storia vera, fidanzato, genitori e omicidio.

Chi era Simonetta Cesaroni, la storia vera

Tutto ebbe inizio nell’estate del 1990, quando Simonetta Cesaroni, all’età di 21 anni, viveva con la sua famiglia nel quartiere Don Bosco di Roma. A gennaio di quell’anno, aveva iniziato a lavorare come segretaria presso uno studio commerciale, la Reli Sas, e trascorreva alcuni giorni a settimana come contabile negli uffici di Via Carlo Poma 2, nel quartiere della Vittoria.

Il 7 agosto, Simonetta si recò a Via Poma per sbrigare alcune pratiche, chiamando la sua collega Luigia Berrettini alle 17:15. Da quel momento, sparì nel nulla. I genitori, preoccupati per la sua assenza alle 21:30, denunciarono la sua scomparsa. Le persone della sua famiglia, compresi fidanzato e datore di lavoro dopo averla cercata fecero la scoperta: Simonetta è morta.

L’omicidio

Il suo corpo seminudo giaceva a terra, coperto di ematomi e ferite. Gli inquirenti scoprirono che Simonetta morì a causa di ben 29 colpi inflitti, probabilmente dopo un tentativo di aggressione sessuale. Le indagini condotte la sera stessa portarono rapidamente a un sospettato: Pietrino Vanacore, il portiere dello stabile di Poma, il quale solitamente aveva accesso a ogni dettaglio dell’edificio.

Sui suoi pantaloni vengono trovate tracce di sangue, nonostante l’alibi debole. In seguito si scoprì che queste tracce erano dovute a problemi di emorroidi, scagionando Vanacore.

Negli anni successivi, diversi individui, tra cui il datore di lavoro della vittima, Salvatore Volponi, Federico Valle e l’allora fidanzato Raniero Busco, dopo l’indagine sono scagionati da ogni accusa. A 33 anni dal tragico evento, il colpevole dell’omicidio di Simonetta Cesaroni continua a non essere identificato.

La riapertura del caso

Esiste però una luce di speranza per la riapertura del caso. La commissione parlamentare Antimafia sottolinea l’importanza di riesaminare la macchia di sangue del gruppo “A positivo” rinvenuta sulla maniglia della porta dell’ufficio di Simonetta. Che non è mai stata confrontata con il DNA di alcune persone che frequentavano l’edificio in quel periodo.

L’Antimafia ritiene che sia necessario condurre nuove indagini sull’arma del delitto, suggerendo che la vittima potrebbe essere stata uccisa con un oggetto a lama lunga e appuntita. Diverso da quanto si era precedentemente ipotizzato, ossia un tagliacarte.

Questi nuovi sviluppi potrebbero portare ad una risoluzione del caso e finalmente a scoprire chi ha tolto la vita ad una giovane ragazza nel fiore della giovinezza.

Francesca Petriccione

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Francesca Petriccione

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