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Chi era Serafino Famà: storia vera, moglie, figli e omicidio

Serafino Famà è un simbolo della lotta alla mafia. L’avvocato è stato tragicamente ucciso 28 anni fa da mani criminali.

L’omicidio di un noto avvocato penalista

Serafino Famà è stato un noto avvocato penalista originario di Misterbianco, nato il 3 aprile 1938. La sua carriera nel campo legale era ben nota e rispettata, ma purtroppo è stata segnata da una tragica fine. La sera dell’8 novembre 1995, intorno alle 21, Famà e il collega Michele Ragonese uscirono dallo studio e, mentre si trovavano all’angolo tra viale Raffaello Sanzio e via Oliveto Scammacca a Catania, furono vittime di un agguato armato.

Sei colpi di pistola calibro 7,65 furono sparati, colpendo fatalmente l’avvocato Famà. Nonostante il rapido trasporto in ambulanza al Pronto Soccorso dell’ospedale Garibaldi, Famà morì poco dopo, verso le 21:20.

Le indagini e la scoperta del mandante

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Le indagini iniziali sull’omicidio di Serafino Famà non portarono a piste investigative concrete per circa un anno e mezzo. Tuttavia, il 6 marzo 1997, Alfio Giuffrida, affiliato e reggente del clan mafioso Laudani, si rese disponibile a collaborare con la giustizia. Questo segnò una svolta nelle indagini.

Secondo le prime ricostruzioni, Giuseppe Di Giacomo, reggente del clan Laudani e detenuto, fu il mandante dell’omicidio, ordinando l’esecuzione agli uomini armati Salvatore Catti e Salvatore Torrisi. Alfio Giuffrida e Fulvio Amante assistettero alla scena da un’automobile. Il 16 marzo 1998, il Giudice per le Indagini Preliminari (GUP) del Tribunale di Catania decise di rinviare a giudizio gli imputati, compresi Giuffrida, Amante e Di Giacomo, oltre ad altre quattro persone, con accuse che comprendevano omicidio volontario pluriaggravato, porto e detenzione illegale di arma da fuoco e ricettazione.

Il movente dell’omicidio

La motivazione dietro l’omicidio di Serafino Famà si collega alla sua attività professionale. Prima dell’agguato, Giuseppe Di Giacomo era stato arrestato mentre si trovava con Stella Corrado, moglie del cognato Matteo Di Mauro. Questa relazione extramatrimoniale avrebbe potuto causare gravi conseguenze all’interno del clan, e Di Giacomo temeva che l’infedeltà della Corrado potesse compromettere la sua posizione.

L’uomo pianificò l’omicidio di Stella Corrado, ma il suo piano non fu mai portato a termine perché fu arrestato prima di poterlo eseguire. Di Giacomo sperava che la Corrado lo scagionasse durante una testimonianza nel processo contro Di Mauro, difeso proprio dall’avvocato Famà. Tuttavia, Famà consigliò alla donna di non rilasciare alcuna dichiarazione, e lei accettò il suo consiglio. Questa decisione di Famà ebbe conseguenze tragiche, poiché Di Giacomo interpretò la mancata testimonianza come la causa diretta dell’insuccesso del suo piano e dell’impossibilità di essere scarcerato.

Nelle motivazioni della sentenza pronunciata il 4 novembre 1999, i giudici scrissero: “Le risultanze processuali pertanto, per come sopra evidenziato, hanno dimostrato che il movente dell’omicidio in esame va individuato esclusivamente nel corretto esercizio dell’attività professionale espletata dall’avvocato Famà“.

Le condanne e il verdetto finale

Gli esecutori materiali dell’omicidio, Salvatore Catti, Fulvio Amante, Giuseppe Di Mauro, Giuseppe Di Giacomo, Francesco Fichera, Vito Gangi e Salvatore Torrisi, sono stati condannati all’ergastolo. Alfio Giuffrida e Giuffrida Alfio Lucio, collaboratori di giustizia, sono stati condannati a diciotto anni di reclusione.

La storia di Serafino Famà è un triste esempio della violenza legata al mondo della criminalità organizzata e delle conseguenze devastanti che può avere sulle persone che cercano di fare il loro dovere nel campo della giustizia. La sua morte ha lasciato un vuoto nella comunità legale e rimarrà una parte oscura della storia di Catania.

Gervasio Mollica

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