Giuseppe Insalaco, sindaco di Palermo dal 17 aprile al 13 luglio del 1984, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del comune e della lotta contro la mafia. La sua vita, il suo lavoro e la sua tragica fine rappresentano un simbolo di resistenza contro la corruzione e la violenza della mafia.
Nato a San Giuseppe Jato il 12 ottobre 1941, Giuseppe Insalaco era figlio di un sottufficiale dei Carabinieri. Si avvicinò alla politica grazie alla corrente di Amintore Fanfani della Democrazia Cristiana, diventando parte del consiglio comunale di Palermo nel 1970 e successivamente ricoprendo il ruolo di assessore all’igiene. La sua carriera politica culminò con l’elezione a sindaco di Palermo nel 1984.
Durante il suo mandato, Insalaco prese la decisione di abolire il sistema di licitazione privata per gli appalti comunali, scatenando una serie di inimicizie. Questa scelta culminò con le dimissioni dell’assessore alla manutenzione Salvatore Midolo, appartenente alla corrente politica di Vito Ciancimino, noto politico e mafioso.
Insalaco ricevette ben tre lettere anonime che lo accusavano di corruzione, portandolo a dimettersi. Tuttavia, non si ritirò dalla lotta: comparendo davanti alla Commissione antimafia presieduta da Abdon Alinovi, denunciò le pressioni subite da Vito Ciancimino e dal suo entourage.
A distanza di due settimane da queste dichiarazioni, l’auto di Insalaco fu data alle fiamme davanti alla sua abitazione. Nonostante ciò, riuscì a ottenere un posto all’Assemblea Regionale Siciliana, dove continuò a combattere la mafia e la corruzione.
Il 5 febbraio 1985, Insalaco fu accusato sulla base delle lettere anonime e si diede alla latitanza per un mese. Si consegnò ai giudici Antonino Caponnetto e Giovanni Falcone, continuando a denunciare il sistema di gestione degli appalti comunali. Nonostante questi problemi legali, fu rilasciato in libertà provvisoria nell’agosto dello stesso anno.
Il 12 gennaio 1988, Insalaco fu brutalmente assassinato a colpi di pistola mentre si trovava in auto. Il luogo dell’omicidio fu abbandonato con un casco e la pistola utilizzata per l’assassinio, e Insalaco fu postumo dichiarato “Vittima della Mafia“.
Dopo la sua morte, venne trovato un memoriale di 17 pagine in cui Insalaco accusava diversi esponenti della DC palermitana e il sistema di gestione degli appalti e del potere cittadino. Accusò anche la confraternita dei Cavalieri del Santo Sepolcro, presieduta dal conte Cassina, di un ruolo occulto.
Nonostante alcune accuse non confermate di associazione con l’organizzazione paramilitare Gladio, la sua vita e il suo lavoro rimangono un simbolo di resistenza e di lotta contro la mafia e la corruzione.
Nel 2001, gli assassini di Insalaco, Domenico Ganci e Domenico Guglielmini, furono condannati all’ergastolo. La loro condanna conferma l’eredità di Giuseppe Insalaco: la lotta contro la mafia continua, e il ricordo di coloro che hanno pagato il prezzo più alto continua a ispirare la lotta per la giustizia
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