Il film “La scelta di Anne”, vincitore del Leone d’Oro all’ultima Mostra di Venezia, ha suscitato grande interesse per la sua forte carica emotiva e la sua base fortemente autobiografica. Il titolo originale, “L’événement” (in italiano, “L’evento”), è stato cambiato per il pubblico italiano, ma il nucleo della storia rimane lo stesso: il racconto di una scelta difficile e del coraggio necessario per portarla avanti. La vera protagonista dietro questa storia è Anne Ernaux, una delle voci letterarie più significative della Francia contemporanea.

L’aborto clandestino di Anne Ernaux: un’esperienza di vita raccontata nel film

La storia al centro de “La scelta di Anne” si basa su una vicenda vissuta in prima persona dalla scrittrice Anne Ernaux, che nel 1964, a soli 23 anni, si trovò ad affrontare un’esperienza traumatica e dolorosa. Anne, allora una giovane studentessa di Lettere, scoprì di essere incinta dopo una breve relazione con uno studente di Scienze Politiche.

La gravidanza arrivò in un momento cruciale della sua vita: stava per laurearsi e aveva grandi ambizioni professionali e intellettuali. Nonostante la pressione sociale e il giudizio che la circondava, Anne Ernaux fu determinata fin da subito a interrompere la gravidanza, vedendo in essa un ostacolo insormontabile ai suoi sogni di diventare insegnante e scrittrice.

“La protagonista non valuta mai due opzioni,” ha spiegato la regista Audrey Diwan. “È fermamente decisa a non sacrificare il suo futuro per una gravidanza inattesa.”

Un contesto storico difficile: la Francia prima della legge Veil

L’aborto di Anne Ernaux avvenne undici anni prima della legalizzazione dell’interruzione di gravidanza in Francia, approvata grazie alle battaglie politiche di Simone Veil. Nel 1964, l’aborto era ancora considerato un reato e le donne che sceglievano di interrompere una gravidanza erano costrette a farlo clandestinamente, spesso a rischio della propria vita. Per Anne, l’aborto rappresentava non solo una scelta personale, ma anche un atto di ribellione contro una società che cercava di imporre un destino non voluto.

Le origini di Anne Ernaux: una storia di riscatto sociale

Anne Ernaux, nata Duchesne, proveniva da una famiglia di modeste condizioni nell’estrema provincia della Normandia. I suoi genitori, inizialmente operai, erano riusciti con grandi sacrifici a gestire una piccola caffetteria. Fin da bambina, Anne dimostrò una spiccata inclinazione intellettuale e un forte desiderio di studiare. Si distinse come una studentessa brillante, riuscendo ad essere ammessa prima all’Università di Rouen e poi a quella di Bordeaux, dove entrò in contatto con giovani di estrazioni sociali più elevate.

Per Anne Ernaux, diventare madre in quel momento significava abbandonare le sue aspirazioni e rimanere prigioniera del destino di privazione che aveva segnato la vita della sua famiglia. “Rinunciare ai miei studi significava accettare di essere giudicata per la mia origine proletaria, non per il mio valore,” ha spiegato in seguito la scrittrice.

Questa convinzione la spinse a cercare di abortire, nonostante le difficoltà e i pericoli legati all’intervento clandestino. Dopo aver ricevuto il rifiuto di due medici, Anne decise di affidarsi a una donna esperta in pratiche abortive illegali.

La consapevolezza di classe e il desiderio di emancipazione

Nel film, la consapevolezza di classe di Anne Ernaux emerge in diverse occasioni. Il ragazzo che l’ha messa incinta, ad esempio, dopo averla invitata in vacanza, le rimprovera di aver creato problemi con i suoi amici benestanti per il suo comportamento “poco accomodante”. Inoltre, la madre di Anne viene rappresentata mentre fatica a pulire stoviglie e trova sollievo solo in brevi momenti di divertimento, come ridere di una barzelletta alla radio.

Il libro di Anne Ernaux da cui è tratto il film si distingue per una scrittura secca, priva di introspezioni soggettive, che passa dal piano personale a quello collettivo. Anche la regia di Audrey Diwan segue questa logica, rappresentando la realtà attraverso la lente della percezione della protagonista, un gioco continuo di messe a fuoco e sfocature in cui la camera si avvicina ai corpi, mostrando la loro autenticità senza mai oggettificarli sessualmente.