Nessuno mai dimenticherà, tra chi li ha vissuti anche se in tenera età, quei novanta interminabili secondi che sconvolsero una vasta area dell’Appennino meridionale, a cavallo tra la Campania e la Basilicata.
Era il 23 novembre del 1980 quando alle 19.34 la terra iniziò a tremare. Violentemente. Il tintinnio dei bicchieri stipati nelle vecchie credenze. Sempre più forte, insistente. Il pavimento che d’improvviso iniziò a sussultare. E poi quel boato tra le gole delle montagne.
Ricordi che ciascuno mai riuscirà a cancellare insieme a quello sciame sismico che per giorni, dopo quel maledetto 23 novembre del 1980, contribuì ad accrescere la paura per un nuovo e più drammatico terremoto. L’ora era quella della messa serale, ma anche della sintesi in tv di una delle gare di campionato.
Quella domenica si giocò Juventus – Inter il cui risultato era già già noto grazie alla radiocronaca del pomeriggio trasmessa a «Tutto il Calcio Minuto per Minuto». Mancavano solo le immagini che, in tanti, in quel momento seguivano alla tv.
Mentre i più piccoli a casa animavamo bambole o facevano rombare con suoni onomatopeici modellini d’auto. Erano i tempi in cui non ci si estraniava. Anzi, i più socializzavano attorno a un tavolo con giochi di società. L’alienazione e l’isolamento, oggi generati da da tablet e smarphone, erano ancora lontani di un ventennio.
Improvvisamente un anomalo movimento sussultorio, poi ondulatorio. Il buio, il boato. La corsa a strappare alle culle i più piccini, cercare riparo sotto gli architravi delle porte o in fondo ai tavoli. E chi se li scorda quei sessanta interminabili secondi che alle 19.34 di quella domenica spezzarono vite umane seminando distruzione e morte.
Epicentro localizzato a 30 km di profondità 15.400 chilometri quadrati di superficie colpita. L’area da cui si irradiò il sisma, di magnitudo oscillante tra i 6.5 e i 6.8 della scala Richter, era quella compresa tra Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania. Un terremoto, della durata di 90 secondi, che coinvolse 5 milioni di abitanti tra Campania, Basilicata e Puglia, con quasi 700 comuni colpiti di cui 37 disastrati.
Chi se la scorda quella scossa del decimo grado della scala Mercalli che causò 2.998 morti, 8.245 feriti, 234.960 senza tetto. Furono cancellate oltre 77mila costruzioni in 687 comuni alcuni dei quali come Lioni, Laviano, Sant’Angelo dei Lombardi, Conza, Pescopagano scomparvero in pochi istanti.
Paesi dai nomi quasi sconosciuti e da quel giorno scolpiti nella memoria di chi ha vissuto quel dramma.
I tre canali della tv di Stato, visibili un po’ ovunque, nelle edizioni speciali dei telegiornali iniziarono già dal giorno dopo a fare la conta dei morti. A mostrare le prime drammatiche immagini.
La voce del cronista ripeteva quasi a cantilena il lungo elenco delle vittime che saliva di ora in ora. Si scavava con le mani ed erano i tempi in cui ancora non v’era traccia di protezione civile o di nuclei di pubblica assistenza. Eppure i volontari furono tanti. I soccorritori alla fine furono circa 8000 che per giorni scavarono tra le macerie.
Fu da quel sisma dell’Irpinia che nacque la necessità di istituzionalizzare un corpo di pronto intervento a cui conferire il ruolo di cabina di regia – quella che mancò in quei giorni determinando ritardi negli aiuti – anche per volere dell’allora commissario per la ricostruzione Giuseppe Zamberletti.
L’area maggiormente colpita fu quella del «cratere» a mezzadria tra la provincia a sud di Salerno e quella di Avellino e Potenza. Senza luce, con i telefoni bloccati, in molte di quelle zone le colonne di soccorsi arrivarono dopo alcuni giorni. E chissà quanto per incolpevole ritardo.
«Sant’Angelo dei Lombardi, 482 morti; Laviano, 303 morti; Lioni, 228 morti» era la litania che si ripeteva nelle edizioni dei telegiornali della Rai. Un lungo elenco in cui finì anche Tramonti, il polmone verde della Costa d’Amalfi.
Qui, si registrò l’unico morto dell’intero territorio. A perdere la vita fu suor Modestina Russo dell’Ordine delle Suore Immacolatine rimasta vittima sotto il crollo del proprio istituto, alla Frazione Campinola.
E così Tramonti si ritrovò nell’elenco del disastro generato da quel tragico evento che fece cadere il paese nella morsa della paura anche per le gravi ferite riportate dal territorio.
Ma la cronaca ancor più sconvolgente di quel terribile sisma, che distrusse decine di comuni della Campania e della Basilicata, è quella che racconta i mesi e gli anni successivi al 23 novembre del 1980. Ovvero il business della ricostruzione, gli scandali, il malaffare e i rapporti tra camorra e politica.
Più del 50% dei fondi stanziati per la rinascita è finito nelle tasche di chi ha voluto lucrare, trovando guadagno, sulla morte e sul dolore. Sono questi i dati tratti dalle inchieste della Commissione presieduta da Oscar Luigi Scalfaro e del filone Mani Pulite. Oggi in alcune di quelle aree devastate dal sisma delle 19.34, ancora si attende ancora di ritrovare una normalità. Negata finora soltanto da consuetudini tutte italiane.
Per questo motivo è dovere di tutti commemorare ogni anno quel tragico 23 novembre, affinché la memoria non si spenga. Affinché si accenda il ricordo anche tra quelle generazione che non hanno vissuto, anche solo per il tramite della tv, il dramma della disperazione, della solitudine, della distruzione.
Il dramma di sentirsi soli e impotenti, per giorni, dinanzi a una catastrofe. Il dramma di sentirsi abbandonati e aver vissuto per mesi e anni in container, vecchie roulotte e strutture fatiscenti. A seguire un documento realizzato con immagini Rai da Lina Wertmuller. Un documento crudo, straziante. Un documento che suscita rabbia. Una rabbia che non ci fa dimenticare. Soprattutto quella povera gente che ha perso la vita non solo a causa del terremoto.