Ancora oggi è considerato un disastro ignorato. E’ l’incidente ferroviario del 3 marzo 1944 consumatosi nella galleria delle Armi, nei pressi della stazione di Balvano-Ricigliano, in provincia di Potenza. Qui, un treno merci speciale rimase bloccato e non riuscì ad uscire. E l’eccessiva presenza di monossido di carbonio nell’aria fu letale per il personale di bordo e i tanti passeggeri, quasi tutti originari della Campania, saliti abusivamente nella tratta Portici-Potenza.

Una tratta che attraversava l’intera provincia di Salerno di cui erano originarie tantissime vittime. Con partenza dalla stazione di Portici il 2 marzo 1944, lungo il percorso il treno si affollava sempre di più, man mano che si susseguivano le fermate. Il convoglio era composto da ben 47 vagoni e della lunghezza di circa 500 metri e raggiunse Battipaglia nel pomeriggio. Da qui la ripartenza verso Potenza con a bordo anche 82 cittadini di Ercolano.

A Balvano, seppur con la primavera quasi ormai alle porte, si consumò la più grande tragedia ferroviaria della storia d’Europa. Qui, a ridosso della cittadina lucana poi distrutta dal sisma del 1980, in quella fredda notte d’inverno, furono circa 600 i morti. Ma ciò che sconvolge è che per quella tragedia non fu individuato nessun colpevole.

Il treno merci 8017, stracarico di viaggiatori “clandestini” quella notte del 3 marzo 1944, per molteplici cause tecniche e per uno scherzo del destino, finì tragicamente il suo viaggio in quella galleria della Basilicata, lunga 1.692 metri, e insieme ad esso più di 600 italiani, disperati, persero la vita, asfissiati dai fumi delle locomotive. E in quella galleria-trappola, morirono tutti: ferrovieri e «clandestini».

La tragedia ferroviaria di Balvano avvenne in un momento difficile della Seconda Guerra Mondiale con l’Italia ormai divisa in due: a sud gli Alleati e a nord i tedeschi e la Repubblica di Salò. Una tragedia che è passata sotto traccia complice il momento drammatico: la popolazione devastata dal conflitto era allo sbando e poverissima.

Molte vittime provenivano dal napoletano e dalle zone costiere della Campania. Per procurarsi da mangiare prendevano d’assalto i pochi treni merci che avrebbero potuto condurli nelle campagne lucane dove vi è ancora qualcosa con cui sfamarsi. Qui, si ritornò al metodo del baratto, unico mezzo di sopravvivenza che poteva evitare di morire di fame. Si recavano nei paesi di montagna per scambiare caffè e cioccolata degli americani con beni di prima necessità.

Ma quale fu la vera dinamica dell’incidente? In tanti hanno provato a ricostruire nel tempo quella tragedia. Tra questi Gianluca Barneschi che a quella sciagura ferroviaria ha dedicato un libro dal titolo «Balvano 1944 indagine su un disastro rimosso». Un lavoro non facile considerato che sia i giornali che le agenzie stampa dell’epoca riservarono pochissimo spazio alla tragica notizia.

La tragedia di Balvano è stata ricostruita, nel 71esimo anniversario, anche da Rai Storia che attraverso un documentario dal titolo «Balvano il titanic ferroviario» ha raccontato la tragedia proprio con l’aiuto di Barneschi, primo ad aver desecretato gli atti delle indagini svolte dagli alleati sull’incidente ferroviario, e la testimonianza di uno dei pochissimi superstiti e del figlio di una delle vittime.

Una tragedia italiana pressoché dimenticata e incredibilmente finita senza colpevole alcuno nel dimenticatoio. Balvano 1944 è purtroppo la storia di un disastro ignorato.