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Amalfi, la lettera di don Luigi: la città sta perdendo le sue tradizioni di Fede

Foto di Teresa Fusco

Don Luigi Colavolpe ha pubblicato una lettera aperta a Mons. Orazio Soricelli e al sindaco Daniele Milano per attirare l’attenzione su un problema su cui è giusto responsabilizzare la coscienza popolare.

“Come sacerdote e come amalfitano non posso restare insensibile dinanzi al “profondo malessere”, che, in occasione della Processione del Venerdì Santo ha investito un giovane, figlio di amalfitani, perché “all’uscita del Cristo dalla Cattedrale” ha dovuto assistere a “uno scempio” – legge don Luigi – “si sono visti ristoranti aperti, un popolo a degustare cuoppi di alici e pizze, seduti al tavolo, centinaia di telefonini a riprendere, mentre povere anziane fedeli tentavano di dire : abbiate rispetto almeno stasera”.

E’ stato “un disastro” – ha concluso – “stiamo distruggendo la storia culturale di una città millenaria” e “spero che prima o poi lo si fermi”. Per la verità, ciò che è stato coraggiosamente denunciato in occasione del Venerdì Santo, da alcuni anni, è diventato per me un motivo di grande sofferenza, perché la degenerazione di alcuni comportamenti in occasione delle Processioni sta ormai assumendo il carattere di una ostentata dissacrazione, che ci deve preoccupare, perché finirà col diseducare anche le nuove generazioni.

“Il malessere” del giovane amalfitano si rinnoverà – spero non solamente in me – in occasione della prossima Processione del Corpus Domini e dello “spettacolo” del prossimo 27 giugno. Penso che dobbiamo riconoscere le ragioni di chi teme che con la nostra acquiescenza stiamo distruggendo “la storia culturale della nostra città”. Urge fare una scelta, perché non è possibile “mettere insieme il demonio e l’acqua santa”: il sacro non può essere esposto al ludibrio, né usato per lo spettacolo, seppure inconsapevolmente.

Mons. Marini era inflessibile nel difendere “la sacralità” delle processioni, che nello spirito della Liturgia sono “ supplicazioni solenni destinate ad eccitare la pietà dei fedeli e a implorare il divino aiuto (Can. 1290), per cui aveva ritenuto suo dovere “spogliarle da ogni forma di oscuro fanatismo”, per “ricondurle alla serietà della S. Liturgia” (Can. 1295).

In tal modo, potette affermare che con lui “le dimostrazioni pubbliche di pietà cattolica” avevano assunto “la nativa dignità e il decoro con edificazione dei cittadini e dei forestieri.” (Decreto del 17 agosto 1944, rivista ecclesiastica amalfitana). Mi domando, perciò, se, per salvare la nostra “storia culturale”, con le nostre “pubbliche dimostrazioni” non sia più giusto “edificare cittadini e forestieri”, anziché continuare ad offrire spettacoli poco edificanti.

Spero che questo “ sassolino” buttato nella palude, ci possa aiutare a porre almeno un freno a “ questo disastro” anche con decisioni dolorose, ma necessarie.

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