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La confessione di Alberto Angelo: “Ho rischiato di essere ucciso”

In quanti possono dire di aver rischiato la vita mentre erano sul lavoro? Non tanti, ma nemmeno pochi. Solo che quando si parla di Alberto Angela è normale che scatti la curiosità. Figlio del compianto Piero Angela, scomparso ultimamente, oggi è diventato il più grande divulgatore italiano dopo suo padre.

L’erede perfetto dell’impero del più grande giornalista scientifico e ideatore di SuperQuark, ma per arrivare a questo punto ha fatto una lunga gavetta. L’esperienza e la passione, passata dal padre, lo ha spinto a rischiare la vita più e più volte.

La dura vita da divulgatore e documentarista

Archeologo, paleontologo e chissà quante altre lauree possiede, Alberto Angela ha iniziato a fare il lavoro da divulgatore creandosi il suo spazio. Infatti è stato un documentarista. Prima di arrivare e sbarcare alla Rai ha lavorato per molte altre emittenti ed ha preso dei lavori che erano stati richiesti da altre nazioni, canali e via dicendo.

La vita da documentarista non è rosa e fiori. Si viaggia in territori che non hanno dei resort. C’è un attento allenamento e studio dei comportamenti animali, specialmente di quelli che sono allo stato selvaggio. Le splendide immagini che vediamo nei reportage dei documentari, che appassionano tutti, sono ore ed ore di appostamenti sotto il Sole cocente, immobili, oppure in un freddo glaciale, divorato da insetti, formiche e zanzare. Però è la passione che ha condotto Alberto Angela a continuare in questo lavoro con tanto impegno.

Incredibilmente non abbiamo mai avuto degli aneddoti interessanti, tant’è che sappiamo ben poco delle esperienze che ha fatto Alberto. Ora però spunta una storia allucinante. Quella in cui che ha rischiato la vita, più volte, ma una in particolare gli è rimasta impressa poiché spaventosa.

Alberto Angelo è la sua esperienza passata

Fu nel 2002, ben 20 anni fa, che Alberto Angela si trovava tra Niger e Algeria. Lì doveva girare un documentario sulla fauna animale e spiegare alcuni monumenti tipici della località. Mentre la troupe si stava preparando per girare, arriva, a folle velocità, un’auto dal bel mezzo del nulla. Scendono 3 militari, armati fino ai denti. Senza ascoltare le frasi dei presenti, che dichiaravano “press”, cioè giornalisti, che hanno diritto di “immunità”, li hanno iniziati a picchiare.

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Nessuno ha reagito perché 1 dei 3 militari imbracciava un fucile pronto a sparare. Le botte sono state molto violente. Dopo tutto questo sono stati derubati e per fortuna non uccisi. Alberto Angela dice che è stata una fortuna che questi uomini, banditi travestiti da militari, non li abbiano assassinati perché potevano farlo, dato che non c’erano né testimoni e né altro.

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Dopo che si sono ripresi dalle botte, perché erano tramortiti, sono riusciti a contattare i soccorsi. Un’esperienza che ha segnato l’uomo, ma che non lo ha fatto desistere dal suo lavoro.

Maria Cannavacciuolo

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Maria Cannavacciuolo

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