La carcassa del bus devastato dalle fiamme era ancora fumante quando i cronisti dell’epoca giunsero in auto sul piazzale del casello autostradale di Nocera Inferiore. I raggi del sole attraversavano un finestrino sfondato e facevano luce su una bambolina semibruciata fra le ultime file di cui rimanevano in piedi solo le anime di ferro delle poltroncine deformate dal calore.
C’era un tiepido sole primaverile sopra Nocera quella mattina del 6 marzo 1994.
Un sole che avrebbe dovuto accompagnare fino a Roma i cinquantaquattro pellegrini di Maiori che in comitiva avrebbero dovuto assistere all’Angelus di Giovanni Paolo II in piazza San Pietro.
E invece quel bus fermò la sua corsa sull’asfalto dello svincolo di Nocera Inferiore dell’autostrada Salerno-Napoli. Qui, poco dopo l’alba, si trasformò in una trappola mortale per sette persone: un’intera famiglia composta da padre, madre e il loro unico bambino di tre anni; un ragazzo di quindici, una donna con la figlia di dieci anni, un giovane 22 di Tramonti al suo primo viaggio con la fidanzata.
La vita per loro finì lì, in un modo orribile. Il destino delle sette vittime della sciagura di 30 anni fa si giocò in una manciata di secondi, poco prima delle sei del mattino. I cinquantaquattro pellegrini erano partiti da circa un’ora da Maiori e il programma della gita era intenso: arrivo a Roma, visita allo zoo, poi l’Angelus in piazza San Pietro con il Papa che avrebbe benedetto i fedeli, quindi il pranzo in trattoria e una puntata al luna park dell’Eur, per la gioia dei quindici fra bambini e ragazzi che facevano parte del gruppo.
Ma poco prima dello svincolo di Nocera successe l’imprevedibile. I sopravvissuti diranno di aver sentito un odore nauseante di plastica bruciata e visto un filo di fumo nero alzarsi dal cruscotto. Quando il bus imboccò la rampa d’accesso a Nocera l’abitacolo, racconteranno, era in parte invaso dal fumo. E l’allegria di pochi minuti prima si trasformò in pianti e urla di terrore.
I passeggeri che si trovano nella parte anteriore riuscirono a guadagnare l’uscita, insieme con quelli che si trovano alle loro spalle. I più fortunati, che si misero in salvo per primi, gridarono i nomi dei loro amici rimasti intrappolati all’interno, tempestando di pugni i vetri dei finestrini. Un giovane di 22 anni di Tramonti, Raffaele Fierro, chiamò a squarciagola la sua fidanzata: era la prima volta che facevano una gita insieme, l’aspettavano da tanto tempo.
Lui, convinto che la ragazza fosse rimasta dentro, si lanciò nel bus per tirarla fuori dalle fiamme non accorgendosi che in realtà era già in salvo.
E i vigili del fuoco, che arrivano in pochi minuti dalla caserma vicina allo svincolo autostradale, trovarono fra i corpi carbonizzati anche il suo. A loro toccò l’ingrato compito di stilare l’elenco delle altre sei vittime: Antonio D’Urso con la moglie Luisa Mansi, il figlio Mario, di tre anni e il nipote Giacomo di 15; Maria Rosaria De Martino e la figlia Annarita Ferrara, di dieci anni.
Anche il Pontefice espresse il suo dolore e il «profondo cordoglio» per le sette vittime dell’incendio divampato su quel pullman carico di turisti che proveniva da Maiori. Quelle persone, infatti, nel programma del loro viaggio nella capitale avevano incluso anche piazza San Pietro. Giovanni Paolo II, subito dopo aver concluso la cerimonia dell’Angelus, invitò quanti affollavano la piazza a «unirsi in preghiera con lui» per le persone che avevano perso la vita nell’incidente. «Sono addolorato per questa notizia», disse Giovanni Paolo II.
A Maiori, l’allora commissario prefettizio, Marisa Di Vito, che all’epoca reggeva il Comune, proclamò il lutto cittadino mentre, in segno di solidarietà con le famiglie delle vittime, vennero sospesi due comizi elettorali e uno spettacolo teatrale.