Per onorare questa domenica, anche al rientro dal mare, quale migliore formato di pasta se non quello originario? Si tratta dello ndundero di Minori, l’antesignano della pasta, che tra qualche giorno tornerà in tavola nel piccolo borgo della Costiera in occasione della festa estiva di Santa Trofimena protettrice della città.

La ricetta che proponiamo quest’oggi è ben diversa da quella, o per meglio dire da quelle, della tradizione. Già, perché l’estro e la fantasia dello chef Giuliano Donatantonio, minorese doc, ci propongono questo straordinario formato di pasta in una rivisitazione a cui difficilmente riusciremo a dire di no.

Ecco la ricetta i cui ingredienti sono per 4 persone

Per gli ‘ndunderi
250 gr di ricotta
200 gr di farina “00”
50 gr di parmigiano grattugiato
5 fiori di zucca puliti e tagliati a listarelle
3 tuorli d’uovo
Noce Moscata
Sale e pepe quanto basta

Per il moretum (“condimento pesto”)
100 gr di pomodori secchi al naturale
100 gr di granella di pistacchio
10 foglie di basilico
1 testa d’aglio
100 gr di olio extravergine
100 gr di pecorino fresco grattugiato

Per guarnizione
8 filetti di acciuga fresca
Finocchietto selvatico

Come prima cosa assicuriamoci di avere a nostra disposizione tutti gli ingredienti, poi prendiamo un tavolino dove poter lavorare la pasta e posizioniamoci sopra la farina. Facciamo una sorta di piccolo vulcano con la farina e nel mezzo aggiungiamo i tuorli d’uovo, la ricotta, il formaggio grattugiato, i fiori di zucca il sale ed il pepe.

Dopo aver aggiunto tutti gli ingredienti iniziamo ad impastare energicamente, lasciamo che la farina si amalgami con gli altri ingredienti fino a divenire un composto omogeneo. È molto importante il lavoro manuale e soprattutto la passione che ci si mette nell’impastare.

Dopo la lavorazione, prendiamo la pasta e facciamone un cordone molto lungo e bello spesso, tagliamolo poi in pezzettini e formiamo delle palline da 3 centimetri circa. Dopo aver svolto quest’operazione prendiamo ogni pezzetto e incaviamolo leggermente con la pressione di due dita, lasciandolo scorrere lungo la parte concava di una classica forchetta da tavola, in modo da dargli una forma ricurva. Lasciamo riposare la pasta per un’ora.

Per il pesto, prendere tutti gli ingredienti (fiori di zucca, pomodorini secchi, pistacchi, basilico, aglio, olio, pecorino) inserirli nel mix e fare una crema che passeremo al setaccio.

A  questo punto lessare gli ndunderi in acqua salata per 18 minuti, saltarli in padella con il moretum (la salsa preparata precedentemente), posizionarli al centro del piatto sul quale abbiamo disposto la granella di pistacchio e su ogni ndundero adageremo un piccolo filetto di acciuga fresca, il quale avrà una leggera cottura con il calore dello ndundero. Guarniamo il tutto con il finocchietto selvatico.

Ricetta a cura di Giuliano Donatantonio, chef del Pineta 1903 di Maiori e componente dell’Alleanza dei Cuochi Slow Food Italia

Varietà di forme e di grandezze. La pasta, oggi, si distingue soprattutto per questi aspetti oltre alle materie prime come le semole di grano duro e l’acqua, e alle condizioni meteo climatiche che un tempo costituivano la principale essenza del processo di essiccazione. Con l’indutrializzazione e la successiva riqualificazione dei vecchi opifici, la pasta subisce un processo di trasformazione soprattutto nei metodi di produzione a cominciare proprio dall’abbandono di piazze, slarghi e terrazzi utilizzati per il prosciugamento di spaghetti e candele, tanto per citare alcuni degli storici dei formati. Un processo, quello dell’essiccazione, di cui non ha invece bisogno la pasta fatta a mano che in Costiera Amalfitana continua ad avere nello ndundero il suo più importante antesignano. Questo tipo di pasta, di cui Minori vanta la paternità essendo il piatto della festa patronale di Santa Trofimena, può essere definito il discendente della “polenta caseata di farro” che non è nient’altro che una farina di farro impastata con il latte cagliato, ridotta poi a palline e cotta in acqua bollente. Gli amanti della tradizione gli ndunderi li preferiscano conditi con una salsa di erbe formata da prezzemolo aglio, gherigli di noci e olio d’oliva. Il cacio, con cui vanno abbondantemente ricoperti, lo si ritrova insieme al ragù con cui si accompagna questa pasta realizzata oggi con farina di grano impastata con ricotta, uova e qualche pugno di formaggio grattugiato. Anche l’invenzione delle lagane e dei ricci pare sia riconducibile all’estro e alla fantasia dei maestri pastai della Costiera i quali, per la produzione di quest’ultimo formato, attorcigliavano il cordoncino dell’impasto intorno ad un ferro sottile. Più recente è invece l’invenzione dello “scialatiello”, nient’altro che straccetti di pasta precedentemente stesa sfoglia e realizzati dall’unione di farina, latte, formaggio grattugiato e sugna. Per alcuni all’impasto va anche aggiunto un uovo e tanto basilico. Gnamm! (Mario Amodio)